Si è svolta durante il fine settimana la Summer School organizzata dalle Caritas della Toscana sul tema dei Balcani e, in particolare, focalizzando l’attenzione sulla Bosnia ed Erzegovina, un Paese con il quale tante Caritas diocesane hanno stretto da anni un legame molto forte.
Al campo, realizzato presso l’Istituto dei Salesiani a Firenze, hanno partecipato 12 ragazzi tra i 20 e i 25 anni; la maggior parte futuri “servizio civilisti”, altri studenti universitari.
Tra gli ospiti, tante testimonianze di figure che hanno vissuto “sul campo”, in particolare gli operatori della Caritas di Volterra che hanno avviato questo gemellaggio comunitario a partire dal lontano 1997, quando una decina di volontari partì alla volta di Sarajevo per portare sostegno morale e aiuti materiali (la guerra era appena terminata).
Anche gli animatori di comunità del Progetto Policoro della nostra diocesi hanno avuto modo di raccontare la loro testimonianza ai partecipanti.
Andrea ha inizialmente contestualizzato il tema, raccontando la situazione del Paese prima, durante e dopo la guerra degli anni ’90 cercando di non fermarsi al resoconto del conflitto ma di “raccontare questo territorio in un’ottica di Speranza e Gioia, evidenziando tutto quanto di bello è nato dalle ceneri della guerra”. E tante, effettivamente, sono le cose belle, le buone prassi da raccontare: una di queste è sicuramente il Centro per la Pastorale Giovanile “Giovanni Paolo II”, al quale Papa Francesco ha fatto visita nel 2015; per questo motivo anche don Simo, fondatore e direttore della struttura che oggi opera nella città di Sarajevo, è intervenuto in modalità online per raccontare la propria storia.
Francesca ha invece focalizzato l’attenzione su un tema attuale, ovvero la Rotta Balcanica. Partendo dalla propria esperienza di un anno in Grecia in Servizio Civile con Caritas Italiana, ha raccontato storie di volti e persone che cercano di raggiungere l’Europa per garantirsi un futuro più dignitoso.
A condire il tutto anche l’esposizione della mostra Futuro minato, realizzata dalla Caritas Italiana nell’estate 2018 e già esposta nel corso degli anni a Grosseto, Follonica e Piombino.
Queste foto raccontano la tragicità della guerra anche a 25 anni di distanza dagli accordi di Pace: la presenza di mine sul territorio bosniaco è ancora elevata e continua a mietere vittime. Una presenza che continua ad affliggere i luoghi e l’anima delle persone.
Testimonianza di un partecipante
Lo scorso fine settimana diversi ragazzi/e provenienti da tutta la Toscana hanno partecipato a un campo di formazione riguardo la Bosnia- -Erzegovina e il legame profondo che si è formato fra la popolazione del paese e le diocesi toscane. Il campo si è svolto per tre giorni a Firenze all’interno dell’istituto dei salesiani e si spera che rappresenti per i partecipanti l’inizio di un percorso che si concluderà con un viaggio nel paese che, probabilmente, si svolgerà l’estate del prossimo anno.
Le tre giornate sono state caratterizzante da incontri, giochi e discussioni che avevano tutte come obiettivo quello di far conoscere la Bosnia in tutte le sfaccettature che vanno dal mix etnico e religioso che caratterizza la sua società, agli eventi della guerra che si è svolta dal 1992 al 1995 ( in particolare le storie legate all’assedio di Sarajevo), fino al racconto delle varie iniziative e organizzazioni che sono nate negli anni successivi al conflitto e che cercano di andare oltre la logica di scontro fra popoli portata avanti dalla classe politica del Paese.
Le testimonianze ascoltate hanno permesso di comprendere ai giovani partecipanti come la realtà bosniaca non sia solo legata alla guerra e alle sue ripercussioni, ma che esiste un mondo che travalica le differenze linguistiche, culturali e religiose che sono presenti ma che non impediscono una pacifica convivenza fra diversi gruppi etnici-confessionali e l’instaurarsi di legami di amicizia che perdurano nel tempo.
Questa amicizia è stata espressa in diverse testimonianze in particolare in quella Don Renzo Chesi , direttore della Caritas diocesana di Volterra, che ha raccontato come i viaggi che ha fatto a partire dal 1997 gli hanno permesso di conoscere personalità religiose e non che con la loro attività hanno cercato prima di sanare le fratture generate dal conflitto e poi si sono preoccupate del “futuro del Paese” ossia dei giovani attraverso la creazione di scuole e istituti dedicati all’infanzia all’interno dei quali hanno lavorato molti operatori provenienti dalle diocesi toscane.
Ma le attività non si sono limitate all’ascolto delle testimonianze; infatti i ragazzi/e hanno partecipato anche a due giochi di ruolo ispirati a storie reali. Nel primo che si chiamava “Il sindaco di Mostar” i partecipanti si dovevano immedesimare nei partiti politici della città di Mostar che rappresentavano e perseguivano gli interessi delle loro comunità etniche-confessionali. Il gioco serviva a far capire ai partecipanti che se tutti i gruppi perseguono solo il loro interesse personale e non pensavano a quello generale era impossibile trovare un accordo fra le parti. Nel secondo gioco di ruolo, i partecipanti dovevano immedesimarsi nella storia di una persona che aveva o stava percorrendo la rotta balcanica in cui la Bosnia rappresenta la tappa principale oltre che la più pericolosa per via dei controlli ferri che ci sono lungo il confine con la Croazia e per l’incapacità del governo bosniaco di sapere rispondere a questa emergenza. Il gioco era stato organizzato da Francesca Benenati e Giulia Salsi, due ragazze che avevano fatto parte del programma ministeriale “Corpi civili di Pace” e che durante la loro esperienza hanno potuto assistere e raccogliere le simili ma allo stesso tempo differenti storie di viaggio che poi sono state utilizzante all’interno del gioco.
Inoltre, all’interno dell’aula dove si tenevano gli incontri e le discussioni era stata allestita anche una mostra che si potrebbe dire riassumeva le diverse tematiche trattate all’interno del campo.
Al lato sinistro erano disposte le foto che ritraevano persone rimaste mutilate dalle mine inesplose dopo la fine del conflitto e per questo erano costrette utilizzare protesi spesso di scarsa qualità per via delle basse pensioni di invalidità. Sul fondo dell’aula erano disposte le foto scattate dai membri delle diocesi durante i loro viaggi nel paese e mostravano gli aspetti culturali e storici che contraddistinguono la Bosnia e, in particolare, la sua capitale Sarajevo.
Sul pavimento sono disposte come a formare un sentiero contorto e ostacolato le immagini che raffiguravano le persone che cercano di attraversare il confine con la Croazia e che sono costrette a sostare all’interno del campo improvvisato che è stato creato a Bihac.
Il campo di formazione si è concluso con un collegamento con Sarajevo durante il quale i ragazzi hanno potuto parlare e fare delle domande a Daniele Bombardi (referente Caritas italiana per Area Balcanica), Don Simo Marsic (direttore Centro della Pastorale Giovanile della diocesi di Sarajevo) e Dajana Umicevic (membro di Youth for Peace).
Queste persone, pur avendo un background culturale e personale differente, erano unite dal fatto che tutti e tre riconoscevano i problemi che ancora affliggono il paese e si impegnano attraverso le loro organizzazioni per risolvere queste conflittualità in modo che la Bosnia ed Erzegovina possa essere ricordata non solo come un Paese dove c’è stata una guerra violenta e che ha bisogno di aiuto, ma come una realtà multietnica e religiosa dove si possono creare relazioni fondate sull’unicità di ciascuno più che sulla differenza.
Gabriele