Pubblichiamo il messaggio del nostro vescovo Carlo in occasione della solennità di tutti i santi e della memoria dei fratelli defunti (foto 2023).
Qui le messe che saranno presiedute da mons. Ciattini
E` il momento questo di esortare ad amare la pace
secondo tutte le forze di cui il Signore vi fa dono,
e a pregare il Signore per la pace.
Sant’Agostino
Carissimi fratelli e sorelle,
eccoci radunati per celebrare la solennità di Ognissanti e a suffragare i nostri fratelli e sorelle defunti. Due momenti in cui il popolo cristiano si riunisce ponendosi in ascolto del brano evangelico delle beatitudini che la Chiesa ci propone in questa liturgia così da poter entrare nel mistero di queste ricorrenze annuali. La SOLENNITÀ DEI SANTI e la COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI si armonizzano e si illuminano vicendevolmente donandoci la beata speranza della risurrezione della carne e della vita eterna: «Sei tu, Signore, che ci dai la vita e ci sostieni con la tua provvidenza; e se a causa del peccato il nostro corpo ritorna alla terra, dalla quale lo hai formato, per la morte redentrice del tuo Figlio la tua potenza ci risveglia alla gloria della risurrezione» (Prefazio dei defunti IV). Il sostare in chiesa o, come faremo, anche nei nostri cimiteri, in questi campi che per noi sono santi perché conservano le ceneri dei nostri cari, e che la terra accoglie, custodisce e lentamente dissolve, ci ricorda che questi corpi sono stati tempio dello Spirito Santo. Il divenire ceneri di quei corpi è un segno, lo sappiamo bene. Ma quale segno? Nient’altro che un segno di amore e tenerezza grande, di fede e speranza cristiana. Il perché di questa speranza ha la sua radice nella fede ebraica cristiana come lo capiremo ora.
Il grande poeta greco Eschilo, nella sua tragedia I PERSIANI, mette sulla bocca di un suo personaggio questo triste interrogativo: «Io grido in alto le mie infinite sofferenze; dal profondo dell’ombra chi mi ascolterà? (v. 635). Diversamente da un tale grido di disperazione umana, il pio israelita aveva la certezza che le sue lacrime non sarebbero state buttate al vento, il suo dolore e l’angoscia dei giorni, in altre parole la fatica della sua vita non si sarebbe dissolta nel nulla. Recita, infatti, il salmo 56: «I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli, non sono forse tutte scritte nel tuo libro?».
Com’è bello pensare che le nostre lacrime sono raccolte, che non sono buttate!
Addirittura queste lacrime sono preziose per Dio. Sappiamo infatti che l’otre per gli abitanti o i viandanti del deserto raccoglie una cosa preziosissima: l’acqua, che è vita e salvezza.
Carissimi fratelli e sorelle, non dimentichiamo dunque mai che le nostre lacrime, le nostre fatiche e la nostra vita sono così preziose agli occhi di Dio, e che vengono raccolte nel suo otre. Recuperiamo lo stupore per il dono e il valore della vita, cerchiamo di educarci a questa preziosità in un tempo in cui la vita è disprezzata, sfregiata, buttata via e venduta per un nulla. Riappropriamoci del dono grande della vita nostra e altrui. Ma questo recupero della vita, di questo tesoro grande, è possibile solo nella prospettiva e nella speranza della vita eterna. Solo la vita eterna, di cui questa vita è segno e inizio, dà senso, significato alla nostra vita nel tempo e nella storia e, al tempo stesso, ci apre all’intelligenza dell’amore di Dio che dona la vita e la dona gratuitamente perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (cfr Gv 10,10). Quella gratuità dell’amore solo da Dio ha abbondante ricompensa e premio. È quel seme che seminato nella terra muore e allora dà frutto e soprattutto non rimane solo, ma partecipa a quella comunione dei santi che celebriamo e speriamo.
Chi sono i santi?
«La Chiesa, durante l’Anno Liturgico, ci invita a fare memoria di una schiera di Santi, di coloro, cioè, che hanno vissuto pienamente la carità, hanno saputo amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa strada. In ogni epoca della storia della Chiesa, ad ogni latitudine della geografia del mondo, i Santi appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione. E sono tipi molto diversi. […]Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità. Nella comunione dei Santi, canonizzati e non canonizzati, che la Chiesa vive grazie a Cristo in tutti i suoi membri, noi godiamo della loro presenza e della loro compagnia e coltiviamo la ferma speranza di poter imitare il loro cammino e condividere un giorno la stessa vita beata, la vita eterna» (BENEDETTO XVI, Udienza generale 13.IV.2011).
Carissimi fratelli e sorelle, veramente meditare il nostro destino eterno, ripensare alla fugacità della vita, all’incontro con il Signore ci aiuta a convertirci, ad essere uomini di pace, dunque a servire la vita, perché solo la pace è il clima dove la vita nasce, cresce e fruttifica ed è vissuta in pienezza. Oggi ahimè, sentiamo la nostra vita minacciata perché equivocata e fraintesa nella sua essenza, nella sua vocazione e realizzazione, e perciò la vita diventa scadente, nonostante tutti i tentativi per renderla bella e gaudente. Il fatto che questa vita ci è inafferrabile ci fa dire davvero: «La vita, questa sconosciuta»!
Sì, purtroppo noi uomini soffriamo di un’invincibile ignoranza a proposito della vita, anche se vi siamo immersi, mentre sembra che stiamo divenendo sempre più «professionisti» riguardo alla morte.
Lo illustra bene lo scenario delle guerre continui ai quali rischiamo di abituarci. Un rabbino chassidico aveva capito bene che «Dio non ha creato nulla di più bello della pace» ( Meir di Gher)!
Di fronte allo spettacolo dileguante dei conflitti, carissimi, siamo invitati a riascoltare le parole del Signore: «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Dobbiamo renderci conto che ogni guerra e ogni conflittualità sono da ricercare nell’intimo dell’uomo, e perciò ogni conflitto deve essere sanato e risolto in radice dove risiede la causa prima di ciò che poi ci è dato di vedere. Non possiamo evitare questa riflessione. Solo così possiamo individuare il collegamento profondo tra l’emergenza visibile sociale e la realtà umana dell’essere dell’uomo nella sua profondità. Come non riconoscere che ogni conflitto nasce dal non riconoscimento dell’altro nella sua dignità di essere umano e soprattutto nella sua configurazione di essere simile a me? Simile anche nelle aspirazioni, nelle battaglie, nelle sofferenze e nei desideri?
Spesso condanniamo le guerre che si combattono lontano da noi, mentre la nostra vita è piena di conflitti, divisioni e attriti di ogni genere, insieme alle terribili violenze verbali e alle astuzie perverse dove si nasconde una
sorta di vendetta, più o meno inconscia, frutto della rabbia per i nostri limiti, le nostre fragilità e i tanti nostri fallimenti.
Veramente dobbiamo riandare a quella beatitudine da cui credo prendano avvio tutte le altre: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli» (Mt 5,3). Commentando questo brano, papa Francesco ci dice: «Lo spirito, secondo la Bibbia, è il soffio della vita che Dio ha comunicato ad Adamo; è la nostra dimensione più intima, diciamo la dimensione spirituale, la più intima, quella che ci rende persone umane, il nucleo profondo del nostro essere. Allora i “poveri in spirito” sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Gesù li
proclama beati, perché ad essi appartiene il Regno dei cieli. […] Ognuno, davanti a se stesso, sa bene che, per quanto si dia da fare, resta sempre radicalmente incompleto e vulnerabile. Non c’è trucco che copra questa vulnerabilità. Ognuno di noi è vulnerabile, dentro. Deve vedere dove. Ma come si vive male se si rifiutano i propri limiti! Si vive male. […] Eppure, vivere cercando di occultare le proprie carenze è faticoso e angosciante» (FRANCESCO, Udienza generale 5.II.2020).
Questi giorni, mentre ci invitano a meditare sulle cose ultime ci raccontano la vita. Siano questi giorni occasioni per guardare oltre, quell’oltre che fa riverberare su tutti noi quella luce pasquale che vince le tenebre della morte e ci faccia responsabili, custodi e difensori del dono prezioso della vita.
+ Carlo, vescovo