Quaresima

«Gesù, non so nulla, non comprendo nulla
in questo mondo di orrore.
Ma tu vieni a me, con le braccia aperte, con il cuore aperto,
la tua sola presenza è il mio paradiso».

(S. Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli)

Carissimi tutti,
il cammino di Quaresima è occasione per fare emergere risposte alle nostre domande, farle emergere sommessamente, senza ansia, senza impazienza, quasi raccoglierle, passo dopo passo, nel nostro quotidiano. Una risposta a tutte le domande, anche a quelle che spesse fuggiamo nonostante bussino al nostro intimo, ma alle quali non vogliamo dare spazio, anzi cerchiamo di soffocarle, non vogliamo la risposta, troppo immediata e non abbiamo il tempo per un alibi.

Quelle domande che se accolte ci costringerebbero a una novità, a una conoscenza di noi stessi, a un entrare in un altrove che abbiamo sempre evitato o addirittura fuggito.

Ci orienterebbero a quella conversione seria, onesta purché disposti ad ascoltare la Parola vera e ad accogliere quella luce che sole ci permettono di vivere il cristianesimo non come un’appendice della nostra vita, una sorta di part-time, di dopo lavoro.
«La religione di Cristo non è lo sfizio di un goloso dopo il pane; è il pane o niente. Questo è il minimo che si dovrebbe capire e ammettere se ci si chiama cristiani (D. BONOEFFER, Gesù Cristo e l’essenza del cristianesimo [1928]).  Il mondo spesso, anzi sempre più spesso, ci offre tempi per lo sballo, e non solo per i giovani. Tempi per dimenticare, che ci disorientano e ci disperdono frantumando relazioni spesso preziose. 
La Chiesa, con la celebrazione dell’anno liturgico, ci offre occasioni formidabili di incontro con il Signore con noi stessi, un ritrovare la strada, un riorientarci, specialmente nel tempo santo di Quaresima. Credo che sia bene fare emergere due domande che il Santo Padre, nel Messaggio per la Quaresima ci invita a porci: «“Dove sei?” (Gen 3,9) e “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9)». E continua papa Francesco:

«Il cammino quaresimale sarà concreto se, riascoltandole, confesseremo che ancora oggi siamo sotto il dominio del Faraone. È un dominio che ci rende esausti e insensibili. È un modello di crescita che ci divide e ci ruba il futuro. La terra, l’aria e l’acqua ne sono inquinate, ma anche le anime ne vengono contaminate. Infatti, sebbene col battesimo la nostra liberazione sia iniziata, rimane in noi una inspiegabile nostalgia della schiavitù. È come un’attrazione verso la sicurezza delle cose già viste, a discapito della libertà»

(FRANCESCO, Messaggio per la Quaresima 2024 “Attraverso il deserto ci guida alla libertà”, 3.XII.2023).


Le domande riguardo al Faraone, al perché della nostra stanchezza che ci vede esausti, a chi ci ha avvelenato non solo la terra, l’aria e l’acqua, ma anche le nostre anime e a chi noi le abbiamo avvelenate sono invece le domande che noi fuggiamo o peggio ancora deviamo con quella stupida astuzia che accusa, accusa, accusa e mai si concede un pur piccolo esame di coscienza. C’è un dove che dobbiamo in qualche maniera individuare, un dove che non è un luogo, ma una situazione esistenziale che in questa Quaresima è bene divenga punto di partenza per un serio esame riguardo alla verità di noi stessi. La conoscenza è sempre una realtà dinamica, è un entrare nell’esperienza di qualcuno o di qualcosa, è un vivere lì.
Solo così l’uomo può entrare in un processo di conoscenza. La conoscenza di Dio, la conoscenza dell’uomo, di noi stessi non è frutto di uno studio a tavolino. Anche la conoscenza dell’altro è vivacizzare le relazioni e renderle storia. Guai se non facciamo questo grande sforzo.  L’altro è per noi perché in qualche modo è parte di noi e non possiamo non sforzarci di conoscerlo e farci conoscere, ne andrebbe la qualità della nostra vita, ne andrebbe la possibilità di una crescita autentica e piena.
Dunque dobbiamo approfittare di questo tempo quaresimale per andare a Dio, farci raggiungere dalla sua Parola, un andare che è il venire a noi del Signore nei segni sacramentali. Allora andremo ai fratelli; prima di tutto accorgendoci di quanti ci sono accanto, quelli della nostra famiglia e di quanti ci è dato di sentirci in qualche maniera più intimi, di quanti noi sentiamo e abbiamo la responsabilità della loro vita per legami di sangue, di fede, di professione e di una prossimità che ci rende in qualche modo responsabili.

L’uomo deve ripartire da una sorta di abbecedario dell’umano, uscire da una sorta di ignoranza di ciò che è umano.

La vera speranza allora è in un recupero «educativo» di quanta relazione esiste tra noi, la realtà e il destino finale; la tecnica diventa speranza solo se si lascia orientare dal concetto che l’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio, perché proprio qui sta il nucleo della sua essenza. (Cfr. J. RATZINGER, Il tempo e la storia. Il senso del nostro viaggio , Casale Monferrato 2017)
Un educarci così da ritrovare una sobrietà e una lucidità che ci indichino dove siamo e dove dobbiamo andare, mentre ci fanno sperimentare, nonostante i nostri limiti e le nostre miserie, che Dio può far scaturire l’acqua viva anche dalla roccia più dura che sono i nostri cuori.


Veramente, come ha scritto André FROSSARD: «O Cristo![…]Tu sei venuto a raccogliere fino all’ultimo granello questa polvere, di cui siamo fatti, affinché niente sia perso di ciò che tu hai creato, affinché riviva mediante la carità ciò che il peccato corrompe e uccide, affinché non ci sia niente sulla terra di così basso, di così miserabile e di così disprezzato che pur non sia sopra il tuo abbassamento, Messia sconfitto, scacciato dal mondo» (Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, VIA CRUCIS, Città del Vaticano 1995, p. 20).
Nel nostro cammino quaresimale, nella misura in cui ci avviciniamo a Dio ci avvicineremo ai fratelli. Quel volto del Signore, che siamo chiamati a cercare e a contemplare specialmente in questo tempo, ci insegna a scoprire e a vedere con altri occhi anche il fratello, a vedere il suo bene, il suo dolore e le sue necessità.

«Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto» (Salmo 26[27], vv. 8-9).

Questa ricerca diviene esclusiva: un cercare solo Lui per Lui e per nessun altro scopo: «Questo solo io cerco, abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Salmo 26[27], v. 4).
Sono pochi i giorni in cui risuonano nel nostro intimo queste «parole nate da quell’eccesso di fede e di amore che libera dalla paura e aiuta a sopportare le tante giornate non particolarmente luminose né “salvate” che scandiscono il cammino umano sulla terra, in attesa della terra dei viventi, dei risorti» (L. MONTI, I Salmi, preghiera e vita, Magnano 2018, p. 349).

Sono questi i giorni della carità vera che, se seminata a piene mani, umanizza il mondo, lo rende una terra amabile e desiderata dall’uomo.

E cosi è tutto più facile: lavorare la terra, che vuole significare anche e soprattutto coltivare, educare ciascuno di noi tratti, impastati e tenuti in vita da questa terra tanto offesa. Terra da cui è stato tratto e impastato l’uomo: il Signore Dio plasmò ha-’adam con la polvere dell’’adamah (terra). (Cfr. Genesi 2,7)
Custodirla, renderla accogliente gli uni agli altri. Un giardino, dunque, quasi restituito all’uomo, e dove è più visibile, palpabile la presenza del Signore, un riverbero luminoso e gioioso di quel mattino di Pasqua, in quell’orto, tanti secoli fa.
Carissimi fratelli e sorelle, a tutti il mio augurio di un fruttuoso e santo cammino quaresimale, sapendo che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli.

+ Carlo, vescovo
Mercoledì delle ceneri, 14 febbraio 2024

1 Marzo 2024

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