Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78)
e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre.
Per questo anche noi dobbiamo ora camminare
stringendo le fiaccole e correre portando le luci.
Così indicheremo che a noi rifulse la luce,
e rappresenteremo lo splendore divino
di cui siamo messaggeri.
Per questo corriamo tutti incontro a Dio.
Ecco il significato del mistero odierno.
San Sofronio, Discorso, 3
Fratelli e sorelle carissime,
oggi celebriamo la Presentazione di Gesù al tempio, conosciuta in Oriente fin dal finire del IV secolo, come ci testimonia la suora spagnola Egeria allorché ci racconta – pur non fornendoci il nome di tale festività (Ipapante/Incontro) – che a Gerusalemme «il quarantesimo giorno[…]è […] celebrato veramente con grande solennità[…]vi è una processione fino alla basilica dell’Anàstasis (Santo Sepolcro) e tutto avviene con grande letizia, come per Pasqua» (EGERIA, Diario di viaggio).
Dunque una celebrazione vissuta in un clima di grande gioia. E come poteva o potrebbe essere diversamente? C’è un incontro, ma non un incontro casuale, improvviso, ma atteso, preparato e soprattutto desiderato: «Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (Lc 2,25-26).
Un’attesa di luce, dunque, con tutto ciò che la parola luce comporta: verità, vita, carità, amore che visita la nostra solitudine illuminandola, strappandola da ogni egoismo, raffinandola e rendendola capace di incontro. Un incontro unico, formidabile che restituisce la creatura al suo creatore e riorienta l’uomo verso la meta eterna: «O Dio, fonte e principio di ogni luce, […] ascolta le preghiere del tuo popolo, che viene incontro a te con questi segni luminosi e con inni di lode; guidalo sulla via del bene, perché giunga alla luce che non ha fine» (Benedizione delle candele).
Il Verbo è la luce vera, la sola capace di illuminare ogni uomo. La sua incarnazione, il suo nascere a Betlemme, lo fa essere uomo per gli uomini.
Lui, la stella di Giacobbe, che illumina gli uomini, come ci viene significato dall’incontro con i Magi e poi con la manifestazione come luce delle genti. Il Signore compie oggi l’Incontro (Ipapante) con l’umanità, rappresentata dal vecchio Simeone e da Anna. Quasi a significare l’incontro dell’Uomo nuovo con l’uomo vecchio che si lascia illuminare, rivitalizzare, quasi ricreare sperimentando una gioia nuova, giovane che solo l’incontro con Dio può dare.
È un venire a noi, ma non da solo, lo proclama solennemente la liturgia allorché il sacerdote esorta i fedeli a una partecipazione attiva, cosciente e piena: «Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio».
Gesù è in braccio a sua madre Maria e accompagnato da Giuseppe. Accogliendolo, l’umanità riceve in dono la salvezza e la vita eterna.
Un invito per noi ad accoglierlo e a portarlo ad ogni uomo. Lui, infatti, è la vera luce e la vita per tutti noi. Lui ci illumina e ci svela il senso di essere al mondo, mentre ci dona la forza per vivere, non sopravvivere come se fossimo condannati a subire la vita, rassegnati alla vita.
La Prima Lettura ci annuncia, in adempimento alla profezia di Malachia, che il Messia entra nel tempio per prenderne possesso e per rendere l’umanità capace di offrire un nuovo tipo di culto.
Il Signore entra nel suo tempio santo: «Subito entrerà nel suo tempio il Signore» (Mal 3, 1). Un desiderio di una profonda intensità che ha attraversato tutta la storia d’Israele ed ha resa viva l’attesa da parte del popolo ebreo nel corso dei secoli. Entra finalmente nella sua casa «l’angelo dell’alleanza» e si sottomette alla Legge: viene a Gerusalemme per entrare in atteggiamento di obbedienza nella casa di Dio.
Il suo venire a noi è motivo di grande gioia, il come viene a noi ci libera da ogni paura e da ogni angoscia: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (cfr Eb 5, 7-9).
Una liberazione piena, vera che entra nella profondità dell’uomo e lo salva liberandolo integralmente: «Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai» (Mal 3,2).
Il suo venire a noi non può che esortarci ad andare a Lui per incontrarlo. Tutta la liturgia di questo giorno ce lo ripete con insistenza: «Andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria» (Benedizione delle candele). E ancora: «Concedi anche a noi con la forza del pane eucaristico di camminare incontro al Signore, per possedere la vita eterna» (Preghiera dopo la Comunione). È una continua esortazione ad alzarci da ogni situazione in cui ci siamo adagiati perché scoraggiati, delusi e stanchi ed accogliere il Signore. Il Salmo responsoriale ci invita a questo: «Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria» (Salmo 23).
Simeone, nonostante l’età avanzata, è ben lontano da una sorta di resa, di pessimismo o di stanchezza. L’incontro con il Signore è per lui un’esplosione di gioia e di vivace progettualità, è l’esperienza di una liberazione – «Lascia o Signore» – desiderata e attesa – «Che il tuo servo vada in pace» – e promessa – «secondo la tua Parola».
Una presenza formidabile nella Presentazione di Gesù al tempio, oltre a quella silenziosa ma sempre potente e virile di Giuseppe, è quella di Maria. La presenza di Maria, a cui viene predetta una spada di dolore, ci porta ai piedi della croce, dove Gesù sarà quel segno di contraddizione che svelerà i pensieri di molti cuori.
Questo annunzio che viene fatto a Maria si riverbera e modula e quasi traccia la vocazione di ciascuno di noi: un entrare nel mistero della morte e della risurrezione del Signore. A quaranta giorni dalla nascita di Gesù a Betlemme si celebra questa festa della luce: «Gioisci, Madre di Dio Vergine piena di grazia: da te infatti è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebre. Gioisci anche tu, o giusto vegliardo, accogliendo fra le braccia il liberatore delle anime nostre che ci dona anche la risurrezione» (Tropario della festa odierna).
Un’attesa che si compie e riempie di gioia i vegliardi e oggi illumina e rende gioiosi tutti noi. Non una gioia qualsiasi, ma la gioia del Signore, quella gioia certa, sicura ed eterna che sgorga dal mistero pasquale della sua morte e risurrezione e tutti illumina. Sacrificio, vittima e offerta sono parole ricorrenti in questa festa e ci dicono, ci raccontano la vera carità, che sola fa crescere, consola e restituisce dignità piena a quanti l’accolgono. È la carità non finta che immette ogni battezzato nel circuito d’amore verso Dio e verso ogni uomo, realizza l’Incontro con Dio e con i fratelli e le sorelle, mentre lo strappa dalle false attese, dai falsi incontri, dai falsi profeti e profetesse: «Accogli, o Padre, i nostri doni e guarda la tua Chiesa, che per tuo volere ti offre con gioia il sacrificio del tuo unico Figlio, Agnello senza macchia per la vita del mondo» (Preghiera sulle offerte).
+ Carlo, vescovo