Domenica 29 dicembre al via l’anno giubilare anche in diocesi. Tanti fedeli si sono ritrovati al seminario vescovile di Massa Marittima per poi procedere verso la Cattedrale dove il nostro vescovo Carlo ha presieduto la solenne celebrazione. Nel testo che segue il messaggio dedicato a questa giornata.
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Carissimi fratelli e sorelle,
papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo ordinario 2025, SPES NON CONFUNDIT, ci chiama ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio: « …detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto (n. 10)… Ammalati,… Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono… La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera (n. 11). Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani. … Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo! (n.12). Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti, …esuli, profughi e rifugiati, che le controverse vicende internazionali obbligano a fuggire per evitare guerre, violenze e discriminazioni (n.13). …Segni di speranza meritano gli anziani, che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono. Valorizzare il tesoro che sono, … è un impegno per la comunità cristiana e per la società civile, chiamate a lavorare insieme per l’alleanza tra le generazioni (n. 14). Speranza invoco in modo accorato per i miliardi di poveri, …Incontriamo persone povere o impoverite ogni giorno e a volte possono essere nostre vicine di casa… Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice (n.15)».
Uno sguardo, quello del santo Padre, sul mondo, un abbracciare l’uomo in un quotidiano sofferto più per la solitudine e l’abbandono che per il dolore che segna tante infermità, fragilità e miserie.
In questo momento solenne, tempo di grazia che si apre davanti a noi siamo invitati a un’introspezione per lasciarci guarire e diventare portatori di speranza nell’ordinarietà del quotidiano. Perciò credo che dobbiamo uscire da tante nostre forme di egoismo, e questo non è facile. Sembra che questo nostro tempo sia particolarmente «adatto» a renderci insensibili, o meglio a diluire ogni nostra attenzione e percezione verso le diverse povertà come un’appendice, come il santo Padre ha osservato: «Questione (quella delle povertà) che si aggiunge quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera (i poveri) un mero danno collaterale (n.15)».
Don Marco Pagniello, direttore nazionale Caritas, ha osservato nell’Introduzione al 28° rapporto, Fili d’erba nelle crepe. Risposte di speranza, che riguardo allo stato di povertà in Italia, «non si tratta solo di marginalità economica, ma di una complessa rete di fragilità che coinvolge le famiglie, imprigionandole in una spirale di solitudine, disagio abitativo, precarietà lavorativa e povertà educativa».
Dunque una sorta di difficoltà a percepire il vero problema nella sua gravità e nelle sue complesse e articolate problematiche.
Una cosa è certa, dobbiamo tutti educarci e rieducarci, convertire il nostro modo di vedere e sentire le situazioni che incontriamo nella loro verità, nel loro interpellarci e responsabilizzarci. Non possiamo aspettare che la vita ci costringa, allorché dovessimo trovarci in quelle situazioni e solo allora, a capire, a comprendere e a realizzare quella solidarietà a cui siamo chiamati come cristiani.
Abbiamo bisogno di educatori, veri discepoli di Cristo, dunque abbiamo bisogno di santi, uomini e donne, amici di Dio che rinnovino, ricreino e restaurino quelle agenzie educative come la famiglia, la Chiesa, la scuola, lo stato e quante altre realtà sono chiamate a servire l’uomo nella sua crescita, nella sua piena realizzazione, dandogli speranza, indicando Cristo vera speranza.
«Noi siamo pellegrini, e pur conoscendo e condividendo le gioie e le fatiche, i dolori e le angosce dei nostri compagni di strada, camminiamo verso la meta che è Cristo, vera Porta santa spalancata sul futuro di Dio (Cf. Gv 10,9)» (P. PIZZABALLA, Omelia, Santa Messa nella notte, Natale 2024).
Noi cristiani, infatti, siamo pellegrini di speranza. Chiamati ad attraversare la storia non da turisti distratti e indifferenti e nemmeno come nomadi vaganti, senza meta se non quella di sopravvivere giorno dopo giorno.
San Paolo VI, a proposito della crescita e dell’educazione dell’uomo, scriveva: «Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d’amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione. In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane» (Populorum progressio, n. 20).
Non possiamo non essere preoccupati di fronte allo scenario che si apre davanti ai nostri occhi, eppur tuttavia, gran bene viene sparso da tanti in silenzio. Operatori di pace che nel loro nascondimento sono fondamento e gioiosa attesa di giorni nuovi e umani. E questo ci dona la speranza, che un bisogno più forte di collaborazione, un sentimento più impellente della solidarietà vinceranno o almeno renderanno sempre meno tenaci incomprensioni ed egoismi.
«La speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente: è la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede, direbbe Sant’Agostino, di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle» (FRANCESCO, Omelia, Natale 2024).
E noi vogliamo accogliere questa promessa, vogliamo aprirci senza paura al Signore che viene, che bussa alla porta delle nostre vite affinché gli apriamo (cf. Ap 3,20):
Eleva, Signore, le porte del tempio che è in noi,
affinché siano porte eterne.
Il Cristo, Re della gloria,
entri attraverso di esse come nel cielo
e plachi le battaglie contro gli spiriti malvagi
affinché tutta la nostra terra ti appartenga,
insieme a tutti coloro che la abitano.
(Orazione salmica di tradizione africana, in Oraisons, p. 68, in L. MONTI, I Salmi: preghiera e vita, Magnano 2018, p. 317).
+ Carlo, vescovo