Ciò che rende bello il deserto,
[…] è che da qualche parte nasconde un pozzo.
Antoine de Saint-Exupéry.
Trovarono un pozzo d’acqua viva.
Genesi 26,19
Carissimo Antonio,
tra poco nella preghiera di ordinazione chiederemo a Dio che tu «sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel suo servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito». Come pure che tu sia immagine del Figlio di Dio, «che non è venuto per essere servito ma per servire».
«Sincero nella carità».
È questa consegna la più faticosa, che chiede ogni giorno disponibilità piena a stare con il Signore perché Lui solo ci permette di non degenerare ad essere saltimbanchi della carità, mestieranti spensierati sui teatri del mondo.
La carità sincera è dono di Dio. A noi la fatica di accoglierla momento dopo momento senza stancarci, senza perderci d’animo perché la carità vera non è applaudita dal mondo; essa è un cibo che non si gusta subito, e deve essere sempre coniugata con la verità. Veramente «la carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione – bada bene, con la sua morte e risurrezione – è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera[…]È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 8,32). […]Tutti gli uomini avvertono l’interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. […] In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14,6)» (Caritas in veritate, n. 1).
Dobbiamo farci ogni giorno discepoli del Signore, stare con Lui.
Ricorda che una volta diacono, nel tuo servizio sull’altare, sarai messo a contatto con il corpo e sangue di Cristo e questo esige ogni giorno da tutti i battezzati, ma specialmente dai ministri ordinati – come tu prometterai tra poco – di conformare a Lui tutta la tua vita. Dobbiamo metterci bene nella mente e nel cuore, come scriveva von Balthasar: «Chi non ha l’amore è a tal punto caduto fuori dalla sua vocazione, da ciò a cui è destinato, che egli, pur vivente quanto al corpo, è morto: “Chi non ama, rimane nella morte” ( 1 Gv 3,14)» ( H.U. Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, Jaca Book, Milano 1984, p. 22).
Domenica scorsa è stato letto il Vangelo della Samaritana e abbiamo ascoltato di una sorgente che zampilla. Già nella memoria del popolo ebraico, nel lungo cammino verso la libertà, esso, arso dalla sete, protesta contro Mosè e contro Dio perché non c’è acqua. Allora, per volere di Dio, Mosè fa scaturire l’acqua da una roccia, come segno della provvidenza di Dio che accompagna il suo popolo e gli dà vita.
In quella roccia da cui zampilla l’acqua, San Paolo vede Cristo,«sorgente da cui scaturisce lo Spirito Santo».
Anche il tuo cammino vedrà stanchezza, arsura a causa delle diverse stagioni della vita, sete di un po’ di affetto e calore. Molti ti chiederanno e tu non saprai che dire o che dare. È il momento di andare o ritornare a Lui, di considerare quanta distanza hai percorso da solo, quanto ti sei allontanato da Lui, anche se Lui mai si è allontanato da te.
«L’apostolo Paolo interpreta quella roccia come simbolo di Cristo, anzi, come misteriosa figura della sua presenza in mezzo al popolo di Dio in cammino (cfr 1Cor 10,4). Cristo infatti è il Tempio dal quale, secondo la visione dei profeti, sgorga lo Spirito Santo, che purifica e dà vita. Chi ha sete di salvezza può attingere gratuitamente da Gesù, e lo Spirito diventerà in lui o in lei una sorgente di vita piena ed eterna. La promessa dell’acqua viva che Gesù ha fatto alla Samaritana è divenuta realtà nella sua Pasqua: dal suo costato trafitto sono usciti “sangue ed acqua” (Gv 19,34). Cristo, Agnello immolato e risorto, è la sorgente da cui scaturisce lo Spirito Santo, che rimette i peccati e rigenera a vita nuova» (FRANCESCO, Angelus, 4.III.2020).
Se allora ritornerai a Lui saprai cosa dare e cosa dire, ma soprattutto ritroverai te stesso, la verità di te stesso, per essere servo umile e sincero, non mercenario al soldo delle voglie bizzarre degli uomini e senza prostituirti di fronte a nessuna prepotenza più o meno manifesta, più o meno mimetizzata.
«Perciò», come abbiamo appena ascoltato dalla seconda lettura «investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d’animo; al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio» (2 Cor 4, 1-2).
All’incontro con Cristo, non può seguire il silenzio.
Infatti è «impossibile tacere dopo l’incontro con Cristo. Come la Samaritana, chiunque incontra personalmente Gesù vivo sente il bisogno di raccontarlo agli altri, così che tutti arrivino a confessare che Gesù “è veramente il salvatore del mondo” (Gv 4,42)» (ibidem).
Carissimo Antonio, tra poco ti consegnerò il libro dei Vangeli e a nome della Santa Chiesa ti esorterò con queste parole: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni».
Nel vivere il Vangelo sperimentiamo la presenza di Lui in modo sempre più autentico ed esigente.
Solo se vivrai quello che insegnerai diverrai ogni giorno più credente, più uomo di fede e perciò sempre più attento e disponibile all’uomo. Diverrai amico dell’uomo, suo compagno di viaggio. Consapevole, fin quasi a sentirti responsabile, della sua fragilità, dei suoi limiti, delle sue povertà morali, spirituali e materiali. «L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri», quasi una consegna da parte di papa Francesco, «si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di fronte all’altrui dolore» (Evangelii gaudium, n. 193).
Sempre al n. 195 dello stesso documento si legge: «Quando san Paolo si recò dagli Apostoli a Gerusalemme per discernere se stava correndo o aveva corso invano (cfr Gal 2,2), il criterio-chiave di autenticità che gli indicarono fu che non si dimenticasse dei poveri (cfr Gal 2,10). Questo grande criterio, affinché le comunità paoline non si lasciassero trascinare dallo stile di vita individualista dei pagani, ha una notevole attualità nel contesto presente, dove tende a svilupparsi un nuovo paganesimo individualista. La bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via».
Sappi che «nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso “si fece povero” (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “sì” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero» (ibidem, n. 197).
Alla Madre di Dio e Madre nostra ti affido, affido questo tempo di attesa verso la tua ordinazione presbiterale, perché tu possa sempre più e sempre meglio riflettere sul ministero che ti verrà affidato e soprattutto ti esorto a chiedere al Signore che ti faccia vedere ogni povertà, soprattutto quelle più nascoste e doloranti perché tu possa offrirti senza paura e senza rispetto umano a soccorrere tutti. Non perdere tempo con le povertà di vetrina, sono tanti e spesso in concorrenza tra di loro a “soccorrere”. Entra nei bassifondi, condividi vergogna e disprezzo con gli scarti della società e vedrai quanta ricchezza, quanta vita troverai e come crescerai.
Concludo con quanto ci ha detto la preghiera di Colletta: «O Dio, che ai ministri della tua Chiesa insegni non a farsi servire ma a servire i fratelli […]».
Dunque per sempre discepoli, per sempre con il Signore perché «resta sempre vera la parola del Maestro divino: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Quando si è “luce nel Signore”, (Ef 5,8) e quando si cammina come figli della luce (Cfr ivi) si colgono più sicuramente le esigenze fondamentali della giustizia anche nelle zone più complesse e difficili dell’ordine temporale, in quelle cioè nelle quali non di rado gli egoismi individuali, di gruppo e di razza, insinuano e diffondono fitte nebbie. E quando si è animati dalla carità di Cristo ci si sente uniti agli altri e si sentono come propri i bisogni, le sofferenze, le gioie altrui. Conseguentemente l’operare di ciascuno, qualunque sia l’ambito e l’oggetto in cui si concreta, non può non risultare più disinteressato, più vigoroso, più umano, poiché la carità: “è paziente, é benigna…, non cerca il suo interesse…, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità…, tutto spera, tutto sopporta ” (1 Cor 13,4-7)» (Mater et Magistra, n. 235).
+ Carlo, vescovo