Pubblichiamo l’omelia pronunciata dal nostro vescovo Carlo in occasione della festa di san Paolo della Croce, celebrata presso l’omonima parrocchia di Follonica
«Esercitatevi molto nella conoscenza del vostro nulla» – San Paolo della Croce
Carissimi fratelli e sorelle,
con la celebrazione di questa santa Messa iniziamo un cammino che ci preparerà a celebrare, l’anno prossimo in questo giorno, il 250º anniversario della morte di San Paolo della Croce.
Egli, infatti, morì a Roma il 18 ottobre 1775.
Ricordare San Paolo della Croce è riandare all’opera meravigliosa che Dio compie sempre nella vita dei suoi santi: uomini e donne che si sono affidati al Signore, consegnati alla sua Parola e alla forza che scaturisce dall’incontro con Lui, la grazia che ci raggiunge nella celebrazione dei sacramenti dunque.
Si legge al n. 42 della Lumen gentium: «Il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui. Ma perché la carità, come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù. La carità infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Perciò il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità verso Dio e verso il prossimo».
San Paolo della Croce ha accolto è vissuto quella parola esigente e liberante che il Signore ci ha consegnato: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 12-13). E così è entrato nel mistero di Cristo, mistero di morte e di resurrezione, che sempre annunciamo nella celebrazione della Eucaristia.
Il nome stesso che lui volle: Paolo «della Croce» è un ricalcare l’essere di Cristo crocifisso. Questo mistero della croce che dona libertà vera per compiere il bene come si conviene agli amici del Signore: «In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d’intelligenza e di volontà, l’uomo è dotato di libertà, “segno altissimo dell’immagine divina”» (Catechismo Chiesa Cattolica, n. 1705).
San Paolo si lascia scolpire e modellare «dallo Spirito con la croce e il martirio per la città dei santi» (Inno dei martiri), secondo quell’architettura cristiana e umana che sola rende l’uomo gradito a Dio e amico sincero degli uomini.
Oggi l’uomo sembra accontentarsi, essere soddisfatto di ciò che è allo stato naturale; al massimo cerca di coltivare una sorta di sedicenti virtù, ma senza avere un modello, ma soprattutto senza trovare una ragione dove giocare se stesso, dove e come realizzarsi per poter giungere a gustare la vita, l’essere al mondo, l’essere nato. L’uomo che è, perché a immagine di Dio, intelligenza e volontà, non può non essere un ricercatore di una ragione per cui investire i suoi talenti, di un perché, di un senso da dare al suo essere al mondo. E questo non lo può fare da solo, ha bisogno di una maternità e di una paternità, ha bisogno di una famiglia di sangue e non solo, una famiglia quale la società e la Chiesa, ove si intessono e si costruiscono relazioni sincere, oneste, generose.
Per noi cristiani si realizza tutto questo nell’andare a Dio a cui qualcuno ci ha condotto, di cui qualcuno ci ha parlato e soprattutto ci ha testimoniato aprendoci un cammino di vita nuova, di conversione, mentre sappiamo bene che «questa ordinazione verso Dio, la libertà dell’uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l’aiuto della grazia divina» (Gaudium et spes, n. 17).
E tutto questo non è indolore, non è senza la fatica del cuore e della mente, una fatica esistenziale, insieme a mille altre situazioni di precarietà fisica, psichica ed anche economica e affettiva.
L’uomo non può non ricercare Dio, c’è una sete di Lui in noi, c’è una nostalgia di quella fonte inesauribile di vita a cui noi riandiamo e attingiamo continuamente. «La vera natura dell’uomo è preghiera» (J. LAFRANCE, La preghiera del cuore, Magnano 2015, p. 47), e lo sperimentiamo ogni volta che l’anima nostra è ferita, ed è allora, come scriveva qualcuno, che andiamo a Dio: «Prenderò la mia anima ferita, e, in un mattino fresco e rugiadoso, io verrò a ricercarti, o mio Signore. In tutta umiltà, coi piedi scalzi. Inizierò il mio pellegrinaggio verso le vette ove mi guarirai con la tua pace […]» (Jacopo Lombardini).
Veramente la natura dell’uomo è preghiera. Infatti, se l’uomo non prega Dio, arriverà a pregare se stesso.
«La passione è una pulsione della natura, il desiderio di adorare Dio, ma deviato su un oggetto contingente, parziale che non è in grado di rivelare l’assoluto all’essere umano […] L’uomo ha sete di Dio e, dato che questa sete non è mai placata, egli può essere ingannato dall’angelo delle tenebre travestito da Angelo di luce; e allora che investe questo dinamismo di adorazione nel vuoto: “Forse l’inferno non è altro che il confronto tra la sete e il vuoto. L’uomo beve il proprio vuoto e brucia sempre di più” (Oliver Clement, Solzenicyn in Russia, Milano 1976, p. 66)» (J. LAFRANCE, La preghiera del cuore, Magnano 2015, p. 54).
Con quel segno del cuore di Gesù sormontato dalla croce, che caratterizza l’abito dei passionisti, san Paolo si incamminò ovunque ci fossero uomini e donne bisognosi dal punto di vista religioso e spirituale, e noi sappiamo bene la tenerezza, l’affetto e l’instancabile sostegno che dette alla nostra gente di Maremma, abitanti in quel tempo di zone malsane, nelle campagne sperdute e nelle piccole isole. Era sua intenzione, come si legge in una breve biografia pubblicata dal dicastero delle cause dei santi, «convincere le persone, anche le meno colte, a dedicarsi alla preghiera e alla meditazione, convinto di aiutarle in tal modo a prendere maggiore consapevolezza della propria dignità mediante la memoria dell’amore personale di Gesù».
Sappiamo che Paolo ebbe intuizioni tanto attuali nei nostri giorni. Si pensi all’attenzione e al soccorso che ebbe alle donne segnate da varie forme di violenza e di sfruttamento. Questo fu possibile a motivo di un virgulto rigoglioso sviluppatosi dal primo monastero di clausura fondato insieme a madre Crocifissa Costantini, e fatto fruttificare dall’opera della marchesa Maria Maddalena Frescobaldi Capponi: le suore passionista di San Paolo della Croce.
Il nostro patrono visse il suo essere missionario, la fatica dell’andare e predicare, senza mai venir meno a quell’impegno di preghiera e di contemplazione che solo pone radici profonde cosicché ogni evento avverso, ogni intemperia è vinta e l’albero può vegetare e fruttificare in frutti buoni, saporosi, gustosi che saziano.
Scrive Papa Francesco: «Per ogni discepolo è indispensabile stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre più. Se non ascoltiamo, tutte le nostre parole saranno unicamente rumori che non servono a niente» (Gaudete et exultate, n. 150).
Carissimi fratelli e sorelle la vita cristiana è lotta e fatica, come ci insegna il santo Padre: «è un combattimento permanente, si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare l’Evangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita» (ibidem n. 158). Gustiamo o meglio pregustiamo questa vittoria che Cristo ci partecipa ogni volta che celebriamo la sua beata passione morte e risurrezione nel sacrificio eucaristico.
+ Carlo, vescovo