Situato entro una stretta vallata a circa tre chilometri dal centro di Porto Azzurro, fu costruito nel 1606 da Josè Pons, per un decennio governatore della piazzaforte.Lo scrittore francese M. Valerj, parlando della visita fatta al santuario, af ferma che “se le strade e le grandi costruzioni annunciano la dominazione dei romani oppure dei francesi l’impero, gli eremitaggi e i luoghi di devozione, visitati dai pellegrini, sono le tracce più caratteristiche e più durevoli della dominazione spagnola”.A questa tradizione nazionale non venne meno il Pons che era di animo pio e che, avendo intensamente subito il fascino suggestivo offerto da quella vallata, decise di erigervi un santuario che fosse dedicato alla Madonna di Monserrato, a ricordo del celebre santuario omonimo esistente in Catalogna, nei pressi di Barcellona; e lo eresse su uno spicchio di roccia e fiancheggiato da tre lati da una chiostra di monti, in uno scenario di selvaggia e grandiosa bellezza.Nell’interno, sull’altare in marmo, c’è l’immagine di una Madonna nera che è copia di quella esistente nel santuario spagnolo su citato; I’autore è ignoto.Nel suo testamento, rogato a Madrid nel 1616, il Pons assegnò al santuario una cospicua dotazione consistente in terreni, censi, livelli e un molino in loc. Reale; dotazione legata però ai frati e al convento di S. Agostino in Piombino, con l’obbligo però di tenervi in perpetuo un sacerdote che provvedesse alla celebrazic,ne della Messa giornaliera.I frati accettato il legato, costituirono, presso il santuarió, un conventino di 4 o 5 religiosi, subordinato a quello di Piombino e, a quanto sembra, essi medesimi provvidero all’ufficiatura.Nel 1653 o 1654, per ragioni non accertate, rinunziarono al legato, facendo restituzione dei beni e si sottrassero all’onere annesso.In conformità ad altra clausola testamentaria il Vescovo di Massa e il Governatore della Piazza di Piombino, assumendo la veste di esecutori testamentari, provvidero allora a nominare un cappellano che adempisse all’onere della Messa quotidiana.Col passare degli anni si accertò che il patrimonio del santuario si era sensibilmente assottigliato perché una parte dei beni, anche se senza documenti di alienazione, figurava in possesso di altri: è facile immaginare usurpazioni o vendite fraudolente.