Abbazia Concattedrale di Sant’Antimo a Piombino

Sorta in luogo del preesistente Romitorio dei Frati Agostiniani, la trecentesca chiesa attuale (1377) ebbe annesso il convento per i detti religiosi, ampliato poi nel Quattrocento ed inoltre corredato, grazie alla munificenza di Jacopo III d’Appiano, signore della città di Piombino, del raffinatissimo Chiostro rinascimentale, creato da Andrea Guardi.
Una particolarità d’eccezione di questa chiesa è che nel 1502 venne solennemente consacrata da Papa Alessandro VI durante un suo soggiorno in Piombino.
La destinazione conventuale del complesso sacro rimase immutata fino alla dominazione napoleonica, allorché il locale principe, Felice Baciocchi, sposo di Elisa Bonaparte, sorella dell’imperatore francese Napoleone, decretò la soppressione delle comunita religiose esistenti nello Stato piombinese, Clarisse e Fatebenefratelli della capitale esclusi.
Nel 1806, mentre la Diocesi di Massa e Populonia veniva soppressa ed il territorio del Principato di Piombino, Elba compresa, era stato pertanto aggregato alla Diocesi di Aiaccio in Corsica, la Chiesa di S. Agostino subentrò, sempre per decreto del principe Baciocchi, ad ogni effetto, in funzioni e titoli, alla chiesa arcipretale di S. Antimo, a sua volta trasformata dal regime in ospedale civile e militare e gia unita dal Cinquecento alla celebre abbazia populoniese di S. Quirico.
In quanto chiesa di primaria importanza dello Stato, e sede, in terraferma, del Vicario Generale del Vescovo di Aiaccio per l’Elba e Piombino, la nuova Arcipretura, chiamata ormai Duomo, fu sottoposta ad un totale rinnovamento architettonico degli interni e ad un ciclo di affreschi e pitture a carattere celebrativo in onore di Napoleone e dei Principi regnanti.
Perduta gran parte di quei retaggi storici durante i radicali rifacimenti interni del 1932-33, la chiesa di S. Antimo fu insignita del titolo Abbaziale ad honorem nel 1960, riesumando la predetta unione perpetua, venuta meno nei secoli, fra la Chiesa Matrice e l’Abbazia di S. Quirico.
Col 1978 la grande eredita di Populonia episcopale si riverserà come da madre a figlia su questo tempio intitolato a S. Antimo Martire, ricco d’arte e di memorie, che assurgerà alla dignità di Concattedrale della Diocesi di Massa M.ma-Piombino.
OPERE D’ARTE – La Chiesa, edificata per volontà del signore di Pisa Pietro Gambacorti da Pietro del Grillo nel 1377 e intitolata a S. Michele, era ad unica navata, in stile gotico toscano temperato. Una navata laterale fu ricavata nel 1932-33 dall’unione di due cappelle. Vi si conservano numerose Opere di valore storico ed artistico: Una colonna etrusca (sec: V a.C.) in pietra scannellata decorata con scene di caccia. Una Madonna con Bambino, statua lignea recentemente restaurata, di tradizione pisana, realizzata tra il 1381 e il 1390. Altre opere recentemente restaurate: il Crocifisso dell’altare maggiore, legno intagliato e dipinto nel sec. XVI; un altro Crocifisso, avvicinabile alla cultura fiorentina del primo Seicento e riecheggiante i modi del Giambologna e i modelli di Pietro Tacca.
All’architetto scultore fiorentino Andrea Guardi si deve il Fonte Battesimale del 1470, coppa poliloba con spigoli goticheggianti, decorata con teste di cherubini e festoni. Dello stesso autore il bassorilievo in marmo raffigurante la Madonna con Bambino e due Angeli; un Tabernacolo in forma edicolare con alto timpano decorato e lesene scannellate. All’ingresso della Chiesa, nella controfacciata, il sepolcro di Iacopo d’Appiano (sec. XIV) e quello dei figli di Iacopo IV d’Appiano Emanuele e Fiammetta (1480).
Altre opere interessanti: la Trinita e Santi, dipinto da Francesco Vanni alla fine del XVI secolo; il Transito di S. Giuseppe di Giuseppe Badaracco detto il Sordo (1645) e altre tele dei secc. XVII e XVIII.
Nel piccolo Museo Parrocchiale si conservano, tra altri oggetti di epoca antica e recente, una Pace in argento sbalzato ed inciso del sec. XV; una statua lignea raffigurante S. Antonio Abate (dono della famiglia piombinese Minuti) del sec. XVI; Busto di S. Anastasia, in terracotta dipinta, del sec. XVII; Reliquiari e Paramenti perlopiù del sec. XVIII.
Tra le opere di Arte contemporanea: due formelle con Scene del Martirio di S. Antimo, di Nado Canuti; una Via Crucis in bronzo di Maurilio Colombini; quadri di Soffici ecc.
Anche alcuni paramenti dei secc. XVIII e XIX sono stati recentemente restaurati presso il Centro di Restauro di Volterra, altri lo saranno prossimamente, essendo stati gia consegnati.
Dal 1984 è in corso una complessiva opera di restauro che ha riguardato fino ad ora il Campanile, la copertura della Chiesa e del Chiostro, le decorazioni ottocentesche delle pareti, la pavimentazione del Chiostro, i nuovi impianti elettrici, il risanamento di alcuni locali, i finestroni.

IL TITOLARE DELLA CHIESA

La leggenda di S. Antimo
S. Antimo, il titolare della Chiesa, si addice molto ad una confraternita di marittimi, come si può ricavare dalla preghiera in uso delle Chiese toscane e della vita leggendaria che trascrivo.
La festa di S. Antimo prete e martire, ricorre l’11 Maggio ed ha la seguente orazione ra stato incendiato il boschetto sacro a Silvano. Il Proconsole fece prendere Antimo e cercò, con le buone e con le cattive, di spingerlo a sacrificare agli dei.
PoichF l’uomo di Dio con forza, seppe disprezzare le minacce ed i supplizi, per ordine del Proconsole, con un sasso legato al collo, fu precipitato nel Tevere. Ma un Angelo, miracolosamente, lo liberò e lo sciolse dal sasso e lo fece uscire dall’acqua sano e salvo, e ritornare alla celletta, dove era solito pregare. Molti soldati, commossi da questo miracolo, si ascrissero fra i cristiani. Fu allora di nuovo accusato, di nuovo trascinato davanti al presidio, e crudelmente, a lungo, tormentato, dopo che, invano, era stata messa a prova la sua costanza. Poichè non si riuscì ad indurlo a sacrificare agli dei, fu decapitato per ordine del Proconsole.
Alcuni uomini pii, che erano stati convertiti dal Santo, presero il suo corpo e lo seppellirono nella via Salaria, nel luogo dove Antimo era solito raccogliersi a pregare. La munificenza dei cristiani vi costruì una insigne basilica, dove, per le preghiere e i meriti, dell’inclito martire, Dio concesse moltissime grazie ai devoti frequentatori.
Dai Guglielmiti il titolare della Concattedrale di Piombino
S. Guglielmo il Grande di Malavalle (tra Follonica e Castiglione della Pescaia), visitato da numerose persone “sì sane come malate”, molte delle quali egli guarì, morto il 10 Febbraio 1157, fu semplicemente un eremita senza una specifica regola di ispirazione, e non ebbe alcuna intenzione di fondare un ordine religioso. Fu il suo discepolo Alberto che, in seguito, raccolse uomini desiderosi di imitare la vita di Guglielmo nella preghiera e nel lavoro scegliendo un genere di vita eremitica ma adatta alla cenobitica.
Ben presto, aumentando, questi Guglielmiti sostituirono i benedettini in alcune abbazie, la prima delle quali fu quella di S. Antimo in Val d’Orcia.
Il Vescovo di Massa aveva due monasteri benedettini da lui direttamente dipendenti: quello di S. Quirico presso Populonia, e l’altro di S. Pietro presso Campiglia. I monaci erano in decadenza e ridotti a pochissimi.
Erano i due monasteri di origine vescovile.
Nel sec. XI ci fu il trasferimento di molte cattedrali da un luogo all’altro più centrale. I Vescovi seguirono questa linea di condotta: presso la ex-cattedrale fondavano un monastero benedettino da loro dipendente. In tal modo ebbe origine, con maggiore probabilita, il monastero di S. Quirico in quella che, fino al trasferimento della cattedrale a Massa Marittima, era considerata cattedrale di Populonia, anche se il Vescovo risiedeva nella Val di Cornia. Infatti in un documento di Almeundo, redatto nel 924 in Cornia presso la chiesa di S. Giusto, viene pagato un censo a Uniclusio, per la Grazia di Dio e della Santa Sede Vescovo della Chiesa Populonese, per una casa e una corte in luogo Oliveto della Pieve Battesimale di S. Quirico. Vi si dice “Chiesa Battesimale del Vescovo”: ciò significava “Chiesa Cattedrale”. Tra il 1041-48 troviamo S. Quirico come un monastero dipendente dal Vescovo. Meno sicura F l’origine del monastero di S. Pietro presso Campiglia, che riscontriamo nel 1075 dipendente dal Vescovo.
Alcuni documenti accennano alla residenza in Cornia del Vescovo prima di trasferirsi a Massa. Per Cornia intendono un Castello da cui dipendeva la Chiesa di S. Giusto in Cornia, non esistendo il Castello di Suvereto. Riteniamo che Cornia fosse Monte Pitti, con Chiesa di S. Pietro. Il Vescovo, trasferendosi a Massa, avrebbe fondato anche il monastero di S. Pietro e ne avrebbe tenuta la presidenza.
Nella descrizione dei confini della diocesi di Populonia (Massa M.ma), anno 1075, troviamo questa espressione: “ecclesia S. Petri, in qua persides” (o praesides) rivolta al Vescovo.
I Guglielmiti erano monaci distaccati dal mondo, raccolti nella solitudine, dediti al lavoro e alla preghiera, contemplativi. Ma le vicine popolazioni avevano bisogno di assistenza spirituale religiosa ed allora, per iniziativa dei Vescovi diocesani, inviavano alcuni monaci a vivere in mezzo alla popolazione, formando una piccola comunita chiamata propositura e dipendente dalla abbazia. I monaci della propositura non potevano condurre una vita puramente contemplativa, ma mista: contemplativa e attiva, dedita alla cura delle anime.
L’abbazia di S. Pietro ebbe una sua propositura e quella di S. Quirico la propositura di S. Antimo con la Chiesa sopra i Canali a Piombino.
Una notizia tradizionale, riportata da un frate cronista del sec. XVIII, ci dice che la Chiesa di S. Antimo sopra i canali fu costruita da una confraternita di marinai. Il porticciolo e i canali erano una sosta obbligatoria per molte imbarcazioni di allora che avevano bisogno frequente di rifornimento di acqua e ai canali l’acqua era abbondante.
Per il servizio religioso proprio e per quello dei marinai avventizi i confratelli della compagnia si rivolsero, quasi con certezza, ai Guglielmiti e con loro concordarono la costruzione della Chiesa, il titolare Sant’ Antimo e la costituzione della propositura. Ecco l’origine probabile della scelta di S. Antimo suggerita ai Guglielmiti della prima abbazia di S. Antimo in Val d’Orcia, oltre quella di Malavalle.
Nel sec. XV inoltrato, i Guglielmiti abbandonarono la propositura. Il pievano di Piombino, la cui Chiesa di S. Lorenzo era in Piazza Bovio, aveva la Chiesa parrocchiale fatiscente e il campanile franato. Per provveder alle spese gli affidarono l’amministrazione dei beni della propositura di S. Antimo. Intanto i D’Appiano, signori di Piombino, avevano abbandonato la loro residenza in Piazza Bovio e se ne erano costruita una in Villanova, cioF Cittadella. Probabilmente intervennero e invece di riparare la Chiesa di S. Lorenzo fecero trasferire la pievania nella Chiesa di S. Antimo, ingrandendola e corredandola di quelle colonne di granito che ancora si vedono entro il vecchio ospedale sopra i canali.
La parrocchia prese il titolo di S. Antimo e, anche quando la sua sede, dalla principessa Elisa Baciocchi, fu trasferita nella Chiesa degli Agostiniani nel 1806, conservò e conserva il titolo di S. Antimo.
Alcune date:
1045-48: Fondazione del monastero di S. Quirico.
1253: Il monastero di S. Quirico fu affidato ai Guglielmiti.
Fine sec. XIII e principio XIV; origine della propositura di S. Antimo sopra i canali.
Sec.XV: I guglielmiti abbandonano l’abbazia di S. Quirico e la propositura di S. Antimo sopra i canali. Il pievano di Piombino abbandona la Chiesa di S. Lorenzo e trasporta la sede parrocchiale nella Chiesa di S. Antimo prendendone il titolo.
1806: La parrocchia di S. Antimo viene trasferita nella Chiesa attuale oggi concattedrale.

LA PATRONA DELLA CITTA’

La tradizione di Santa Anastasia in Piombino
Due sono le fonti medievali della leggenda di S. Anastasia Vergine: il Martirologio Romano e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Il Martirologio ricorda piuttosto sommariamente che il 25 Dicembre F il giorno natalizio (ma tale termine nel linguaggio agiografico indica il giorno glorioso della morte) di Santa Anastasia, torturata, legata al palo e arsa nell’isola di Palmaria al tempo di Diocleziano.
La Leggenda Aurea, più circostanziata, ricorda l’origine nobile della Santa, l’educazione cristiana ricevuta dalla madre e perfezionata da S. Crisologo, il matrimonio per costrizione con un certo Publio, la conservazione della verginità per mezzo di una simulata malattia, i tentativi del marito di farla morire per fame onde impadronirsi della sua ricca dote, la liberta ottenuta grazie alla morte improvvisa del marito stesso; narra poi che Diocleziano, persecutore dei Cristiani, la volle maritare a un prefetto, ma, avendo questi perso prima la vista e poi la vita, l’imperatore le impose come marito un altro prefetto, il quale, nell’intento di mettere le mani sulle sue notevoli ricchezze, si dichiarò persino disposto a rispettare la sua verginità; ed essendosi la Santa rifiutata, per non sottrarre le sue ricchezze ai poveri ai quali le aveva destinate, fu relegata con duecento cristiani e settanta cristiane nell’isola di Palmaria e poco pi· tardi (era l’anno 287) condannata al rogo, mentre gli altri cristiani furono uccisi in modi diversi.
E’ assai difficile che la Palmaria menzionata in queste fonti medievali sia l’isola di Palmaiola nel canale di Piombino (altre due isole omonime, l’una vicino a Ponza, l’altra di fronte a Portovenere, sembrano avere maggior titolo all’accredito), ma, dato che Palmaiola era, nel Medioevo, proprietà di nobili del contado pisano e che il corpo di una Santa Anastasia fu traslato nel 1085 a Pisa da Guglielmo, Vescovo di Populonia (gia residente a Massa) e Legato pontificio in Sardegna, non si sa da dove il corpo fosse stato tratto, esiste una sia pur minima probabilità che il luogo del martirio di Santa Anastasia sia stato proprio questo isolotto toscano.
Del resto il culto della Santa come patrona fu attestato, in Piombino, fin dal Trecento, e tutto lascia credere che la tradizione sia notevolmente anteriore.
Da un documento del 1518 si rileva l’esistenza di una chiesa dedicata a Santa Anastasia posta in via Campo di fiori.
Un’ordinanza del Consiglio degli Anziani di Piombino del 10 Maggio 1471 deliberava l’organizzazione di un palio annuale in occasione della festa di Santa Anastasia, non sappiamo se introducendolo allora per la prima volta o ratificando un costume gia esistente e comunque destinato a durare fino a tutto il sedicesimo secolo, dato che vi si accenna in un’altra delibera del Consiglio dell’Aprile 1568, con cui, solennizzando simultaneamente la festa della Patrona (8 Maggio) e le nozze della figlia di Iacopo VI, Signore di Piombino, si destinava una somma di 18 scudi ai rituali regali e alle ghirlande.
Il palio era una corsa di cavalli che rappresentavano i Rioni; al vincitore veniva assegnato appunto il “Palio”, un drappo ricamato offerto dal Signore o dalla Comunità, mentre in onore della Santa si celebravano nelle chiese funzioni religiose, con la partecipazione dei magistrati della città e la Comunità faceva abbondante offerta di cera.
Quando avrà cominciato a spegnersi nell’animo dei Piombinesi l’affezione a queste tradizioni cittadine? Probabilmente nel secolo decimottavo; la ventata di razionalismo che allora invest8 tutta l’Europa non sara stata certo favorevole alla conservazione di consuetudini religiose; ma il distacco, anche se perdurato nella prima meta dell’Ottocento, non avrà comportato un’oblio totale da parte del popolo, se il 29 Marzo 1861 il Consiglio Comunale di Piombino, su istanza di Lorenzo Badanelli, con unanime decisione delegava il Gonfaloniere Carlo Parrini ad avviare presso la Curia Vescovile la pratica per il riconoscimento canonico di Santa Anastasia come Patrona di Piombino.
Il relativo decreto fu emanato dal Vescovo Mons. Giuseppe Morteo il 24 Aprile 1874.
Una tradizione cos8 antica e cos8 legata alla storia della nostra città fu stata ripresa in occasione del XVII¦ Centenario del martirio della Santa e dal 1987 si sono sviluppate celebrazioni religiose, manifestazioni culturali e rievocazioni storiche quali: la Solenne Messa con la consegna del Cero e la benedizione del Palio, le rassegne di Arte Sacra e il Palio degli Arcieri.

Il Battistero di Sant’Antonio

Malgrado lo scetticismo di molti di fronte al “problema” se Piombino sia stata o meno, città d’arte, troviamo molti saggi letterati più o meno autorevoli che fanno pesare l’ago della bilancia a favore di una notevole presenza artistica nella nostra città. E questo nonostante le ripetute spoliazioni e sistematiche distruzioni che si sono verificate dal tempo antico fin quasi ai nostri giorni.
Limitandosi ad alcune specifiche pubblicazioni la questione è stata ampiamente illustrata, supportandola con precise verifiche sul poste e meticolose ricerche d’archivio: mi riferisco in particolare ai primi lavori di Peleo Bacci, che scoprivano lo scultore ed architetto fiorentino Andrea di Francesco Guardi che operò a Piombino nella prima metà del XV secolo; al “Profilo Artistico” del Prof. Mario Bucci in “Piombino, storia e arte”; a Nedo Tavera che, particolarmente nelle sue ultime pubblicazioni su Elisa Baciocchi Bonaparte, la devozione dei piombinesi per la Vergine Maria e l’ultima “Piombino Francescana”, ha tanto bene scandagliato, oltre gli specifici argomenti trattati, alcuni aspetti artistico-architettonici di Piombino.
Nel mio modesto, personale impegno di ricerca ho rilevato quanto sia necessario far conoscere, mediante schedatura di ogni singolo reperto grande o piccolo, il patrimonio artistico che ancora possediamo e presentarlo nelle scuole in funzione didattica per un suo maggiore rispetto, con l’impegno ed il dovere di conservarlo il più integro possibile per le generazioni future.
Ritengo che non solo le sculture, monumenti singoli, pitture e quant’altro viene in mente debba essere considerato “artistico”, e qui non dico niente di nuovo: più autorevoli voci hanno espresso questo semplice pensiero. Ma anche l’insieme di un vasto complesso fortificato è e deve essere considerato un’opera d’arte. Piombino fin dal suo nascere nell’XI secolo (i documenti lo téstimoniano) è sempre stato un luogo poderosamente fortificato, con opere che nel corso dei secoli hanno rispecchiato le necessità difensive ed offensive, ma non trascurando l’aspetto estetico. Basti pensare che alle fortificazioni hanno lavorato o progettato architetti, ingegneri ed anche semplici ma valenti capi-mastro: Guglielmo Pieri di Provenza, Angelo Orsini, Nanni Ungaro, Zenobi Pagni, Antonio da Sangallo il vecchio, Francesco da Sangallo, Leonardo da Vinci, arrivando al meglio dei personaggi al servizio di Elisa Baciocchi Bonaparte.
In questo breve intervento vorrei limitarmi a segnalare a chi ancora non li conosce, e spero proprio che siano pochi, alcuni “pezzi” di eccezionale valore artistico che potrebbero costituire, se radunati in un unico adeguato spazio espositivo, un museo di esemplare bellezza. Questo perchè Piombino ha avuto la presenza di grandi artisti, dei quali conserviamo ancora alcune opere: Nicola Pisano, Giovanni Pisano con i suoi allievi Marco e Ciolo, Giovan Antonio Bazzi detto il Sodoma, Rosso Fiorentino, Andrea della Robbia e Andrea di Francesco Guardi.
– Nella sala consiliare del palazzo comunale si conservano alcune opere che rappresentano, proprio perchè datate, anche parte di quella storia di cui la nostra città è piena. I1 pezzo più importante per 1’elevata rafflnatezza è la Madonna con Bambino Marco e Ciolo senesi, allievi di Giovani Pisano nei primi anni del ‘300, scolpito a tutto tondo in marmo bianco di Carrara. – La devozione popolare locale ha sempre avuto nei secoli il punto di riferimento nella Chiesina di Cittadella, dedicata a S. Anna la Madre della Madre di Dio. In questo piccolo ma suggestivo Oratorio si conserva una figura a mezzo busto della Madonna con Bambino, in un insieme di perfezione artistica; è una terracotta policroma invetriata attribuita ad Andrea della Robbia, che di questa forma artistica fu sommo ingegno insieme ai suoi predecessori familiari.
È la Madonna di Cittadella tanto cara ai piombinesi che nei secoli si sono sempre rivolti a Lei nei momenti di difficoltà generale, ma soprattutto personale, e che sempre hanno trovato conforto nelle preghiere a Lei rivolte.
Nella stessa chiesa sono i plutei marmorei di estrema raffinatezza compositiva, che dividono lo spazio riservato ai Signori e Principi. Divisi in quattro specchi recano, in bassorilievo, vasi di fiori e gli stemmi degli Appiani-Aragona. Sono opera di Andrea di Francesco Guardi che negli anni dal 1460 al 1470 lavorò in Piombino per ordine di Iacopo III Appiani, lasciando molte opere di squisita impronta rinascimentale:
– la Cittadella, residenza dei Signori, con il palazzo Appiani (purtroppo distrutto non molti anni fa), la Chiesa Gentilizia, gli alloggi per la servitù e la rappresentanza, la cisterna;
– il chiostro annesso alla Concattedrale di S. Antimo, ritenuto pur nelle sue ridotte dimensioni, uno dei più rappresentativi del genere in Toscana;
– il fonte battesimale, che attualmente si trova nella navata sinistra della concattedrale.
Vale la pena soffermarsi, anche se brevemente, su questo fonte che è considerato una vera e propria opera d’arte.
Ha delle misure notevoli: dalla base al termine del pinnacolo (che appare non completo) misura mt. 2,40 e il diametro della tazza è di mt. 1,20.
Dalla base lobata parte un fusto che si assottiglia, il tutto ricoperto di rafflnato fogliame d’acanto. Sul fusto si appoggia la tazza scolpita in un solo blocco di marmo bianco. Nel suo contorno si alterano volti di cherubino che sostengono un festone floreale. Nella parte inferiore dei sei lobi che la disegnano, sono scolpiti in bassorilievo gli stemmi degli AppianiAragona, due putti ed un volto barbuto, molto probabilmente S. Giovanni Battista. In un lobo della tazza si intravede ancora la figura di un drago alato, simbolo araldico degli Appiani; dico si intravede perchè sembra essere scalpellinato. Forse anche lui subì la sorte di alcune scritte degli Appiani, fatte cancellare da Cesare Borgia quanto momentaneamente si impadronì di Piombino nel 1501?
Dal centro della tazza emerge il pinnacolo, alla cui base c’è una scritta con caratteri di bronzo:
IA. III. DE ARAGO. E AP. AD HONORE(M) ALTISSIMI DEI MCCCCLXX (Iacopo III d’Aragona Appiani ad onore dell’Altissimo Dio 1470).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Licurgo Cappelletti: Storia della Citta e Stato di Piombino (dalle origini fino all’anno 1814), Livorno 1897.
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Maria Luisa Ceccarelli: Il Monastero di S. Giustiniano di Falesia e il Castello di Piombino (Secc. XI-XIII), Pisa 1972.
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Assessorato al Turismo di Piombino: Guida di Piombino e Populonia, 1991.
Nedo Tavera: Piombino francescana, Firenze 1994.

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