Corpus Domini

Omelia del nostro vescovo Carlo

Giovedì 30 maggio a Massa Marittima la celebrazione e la processione del Corpus Domini. Di seguito le parole pronunciate dal nostro vescovo Carlo

Carissimi fratelli e sorelle,
il mistero che stiamo celebrando in questa solennità del Corpo e Sangue del Signore, ci racconta o meglio ci rammenta di una presenza.
Spesso nella nostra vita non ci accorgiamo di coloro che ci amano, che ci fanno del bene, dunque delle presenze non di rado vitali, essenziali per noi, mentre ci è facilissimo avvertire le presenze rumorose, avverse a noi, che non ci affiancano, ma addirittura potremmo dire che ci mettono il bastone tra i piedi, si mettono di traverso.
Troppo spesso noi accogliamo queste tristi presenze, la nostra storia è raccontata dicendo di loro, così come la storia del mondo fa dei «cattivi» i protagonisti vivendo una sorta di smemoratezza del bene e di quanti ne sono artefici con quello stile umile, silenzioso e nascosto che lo definisce. Il bene, infatti, è qualcosa che si semina, che penetra i giorni dell’uomo e in quei giorni mette radici, fiorisce e giunge a maturazione. Ma chi se ne accorge?

È il mistero della vita, vita ricevuta e donata; non c’è dato di vederla dall’esterno, quasi di fotografarla, di indagarla, ma vi siamo immersi: noi viviamo la vita. A noi la fatica e la gioia di custodirla e metterla a frutto. Una vita ricevuta, dunque, ma dire vita ricevuta ci chiama a indagare sul donatore oltre che sul dono.

Dove andare? Verso chi incamminarci? L’umanità più accorta ha scrutato, ha indagato, ma nella sua solitudine e autosufficienza l’uomo si smarrisce nel cercare.

Una ricerca confinata, costretta, infatti, agli spazi che l’uomo abita, non può giungere a quell’oltre ed è costretta ad arrendersi.  Sì perché quell’oltre non può che essere rivelato, una rivelazione che ci racconta un altrove, o meglio, una meta che per noi cristiani sta a significare una persona che ci attende e al tempo stesso si fa guida per noi e compagno di viaggio.
Una presenza dunque che si fa visibile, addirittura si fa uomo, si fa figlio. È il Figlio di Maria, la sposa di Giuseppe di Nazareth.

Un farsi uomo che si offre, si dona, amico dell’uomo.

Un uomo che si dice risorto dai morti, cosicché la sua morte non conclude la sua vita e la sua vita non è relegata a memoria, a ricordo, ma è storia viva, è memoriale.
Perciò «è venuto infine il momento di accostarci a questa mensa degna di infinita venerazione…Davanti a voi è il Cristo. È lui stesso che prepara oggi il banchetto come l’aveva preparato nella Santa Cena di quella sera. Non è un uomo che può trasformare i doni nel corpo e sangue di Cristo, ma questo stesso Cristo che fu crocifisso per noi. Il sacerdote che in piedi pronuncia le parole sante è figura di Lui, solo vero sacerdote. La grazia e la forza di quelle parole vengono solo da Dio» (G. CRISOSTOMO, Sul tradimento di Giuda, omelia 1,6).
E questo grande mistero Lo restituisce continuamente a ogni uomo in un oggi che non ha mai fine. 
È un farsi incontrare sempre e ovunque quale vivace, portentosa e prodigiosa presenza nei segni sacramentali, soprattutto nell’Eucarestia.

Cosicché viene a noi per nutrirci, saziarci di vita e vincere ogni paura e angoscia, facendoci bimbi sereni in braccio alla loro madre (cfr. Salmo 130) che allatta donando se stessa: «Il suo corpo è vero cibo e il suo sangue vera bevanda» (Gv 6,55).

Carissimi, fermiamoci ad adorare, fermiamoci a ringraziare, fermiamoci.

Poi ripartiremo, ma intanto è necessario fermarci per avvertire la sua presenza formidabile, vitale, che si offre, si dona, ci nutre e ci fa crescere verso quella maturità che sola è capace di verità, di carità, dunque in qualche modo di farci anche noi dono.
Dobbiamo cercare di avere occhi per quanti sono nel bisogno, senza sentirci buoni e bravi, ma cercando onestamente, seppur con grande fatica, di riconoscere che il nostro essere per gli altri ritorna a noi come vero beneficio, il solo che ci permette di incamminarci verso l’armonia e la vera pace; per realizzare quel dialogo fatto di accettazione dell’altro nella sua unicità e diversità,  che solo concretizza quella solidarietà di cui l’uomo non può fare a meno, quella solidarietà che per noi cristiani è comunione e che si realizza andando a Cristo.
È interessante quanto scrive a proposito di dialogo Martin Buber: «Il dialogo è come una partita a scacchi. L’intero fascino del gioco consiste nel fatto che non si conosce né si può conoscere la prossima mossa dell’avversario. Si è sorpresi da come lui agisce e la partita è tutta fondata su questa sorpresa. Una seconda caratteristica consiste nel fatto che in un vero incontro o dialogo è ciò che è diverso nell’altra persona, il suo essere altro che è apprezzato».

Cristo ha parlato all’uomo, ci ha chiesto di porsi in ascolto per iniziare con ciascuno di noi un dialogo e così insegnarci a dialogare tra di noi, per conoscersi, soccorrerci vicendevolmente senza pregiudizi di sorta.

Veramente non facciamo altro che restituire e restituirci perché abbiamo ricevuto e ci siamo ricevuti. Questo è ben espresso in quanto si legge nella Liturgia di San Giovanni Crisostomo: «Quando Cristo fu venuto ed ebbe compiuto a nostro favore tutta l’economia della salvezza, la notte in cui offri se stesso per noi…». E dopo le parole dell’istituzione: «Ricordandoci dunque di questo comando salutare (fate questo in memoria di me) e di tutto ciò che è stato fatto per noi, della sua croce, della sua sepoltura, della sua risurrezione il terzo giorno, dell’ascensione al cielo, del suo trono alla sua destra, del secondo e glorioso avvento, in tutto e per tutto, noi ti offriamo ciò che viene da te…». Amen

+ Carlo, vescovo