Noi siamo ricomperati
non d’oro né di dolcezza d’amore solo,
ma di sangue;
noi siamo schiavi ricomperati dal sangue dell’Agnello (n. 143)
Oh addormentati, destatevi!
Non v’è veruna mente tanto dura né tanto addormentata,
che si dovesse destare e risolvere (struggersi)
dinanzi a tanto fuoco di carità (n. 146)
Santa Caterina da Siena, Pensieri, Roma 1979, pp. 84-85Un saluto fraterno e l’augurio di ogni gioia e pace nel Signore che viene. La sua visita ci riempie di gioia, ma in qualche modo ci scuote e allerta. La sua venuta, se accolta, ci sveglia dal sonno di quella notte che spesso ci avvolge facendoci indugiare in una sorta di sonnolenza, in una sorta di dimenticanza di essere uomini e donne in cammino verso l’eternità, verso l’incontro con il Signore, e così la nostra vita non è più un’attesa, un avvento. Questo non vivere l’attesa, quel già e non ancora, ci tenta di viverla come compiuta, qui ed ora, hic et nunc, snaturandola, creando giorni senza prospettiva, non maturati, dunque acerbi, che allegano mente e cuore e perciò non gustosi, che ci fanno inappetenti della vita che non trova vero compimento, pienezza. Non conclude, non realizza lasciando un retrogusto aspro che scoraggia e mortifica. Come possiamo far maturare i nostri giorni? Maturando noi stessi, stando sotto il sole di Dio. È Cristo l’Oriente, il Sole di giustizia che illumina e mette in fuga le tenebre, che dona vita e fa crescere: «Oriente, splendore di luce eterna, sole di giustizia, vieni ed illumina chi è nelle tenebre e nell’ombra di morte». Così canta una delle antifone maggiori del Natale.
Carissimi fratelli e sorelle, scrive san Colombano: «Quale grande degnazione è stata questa, che Dio abbia dato all’uomo l’immagine della sua eternità e la somiglianza del suo divino operare! Grande dignità deriva all’uomo da questa somiglianza con Dio purché sappia conservarla […] L’amore di Dio è la rinnovazione della sua immagine. Ama veramente Dio chi osserva i suoi comandamenti, poiché egli ha detto: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14, 15). Il suo comandamento è l’amore reciproco. Così è stato detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). Il vero amore però non si dimostra con le sole parole “ma coi fatti e nella verità” (1 Gv 3, 18). Dobbiamo quindi restituire al Dio e Padre nostro la sua immagine non deformata, ma conservata integra mediante la santità della vita, perché egli è santo. Per questo è stato detto: “Siate santi, perché io sono santo” (Lc 11,44). […] Dobbiamo restituirgliela nella bontà e nella verità, perché egli è buono e verace. Non siamo dunque pittori di una immagine diversa da questa. Dipinge in sé l’immagine di un tiranno chi è violento, facile all’ira e superbo. Perché non avvenga che dipingiamo nel nostro animo immagini tiranniche, intervenga Cristo stesso e tracci nel nostro spirito i lineamenti precisi di Dio» (Istruzioni 11, 1-2; Opera, Dublino 1957, 106-107 in LITURGIA DELLE ORE, Città del Vaticano 1989, vol. IV, p. 1473).
Questo il Signore l’ha realizzato con la sua Incarnazione. L’uomo da solo non può uscire da questa situazione, non può salvarsi da se stesso. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati in Adamo viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Gesù Cristo compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo: «Egli (Cristo) spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7-8). «Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita» (BENEDETTO XVI, Udienza generale, 6.II.2013).
Prepararsi al Santo Natale è andare incontro a Colui che viene a noi per stare con noi e con noi incamminarsi verso il Padre, in questo meraviglioso e formidabile ritorno alla sorgente dell’amore e della vita, come canta un bellissimo inno alla Trinità della liturgia trappista di Vitorchiano: «Eterno senza tempo, sorgente della vita che non muore, a te la creazione fa ritorno nell’incessante flusso dell’Amore».
Carissimi, questa è la vocazione di ogni uomo e di ogni donna, in ogni tempo e in ogni luogo: l’incontro con il Signore che viene. Nella misura in cui scopriamo questa comune vocazione, quest’universale chiamata alla santità, ci riconosceremo fratelli gli uni degli altri. Diversamente la nostra vita sarà un andare a noi stessi, un cammino più o meno camuffato, un implodere, una sorta di involuzione, di individuazione di noi stessi e di separazione dagli altri.
L’uomo, non sappiamo con quanta consapevolezza o con quanta incoscienza, ha sempre cercato di giustificare non solo agli occhi degli altri, ma anche di se stesso, l’egoismo che sempre lo contraddistingue, anche se oggi in maniera inedita e più camuffata, perché aiutato e reso più istrione da sempre più raffinate ed “accademiche” ideologie che si ammantano di sofisticati e sedicenti umanesimi.
Il vero umanesimo è semplice e immediato; gli uomini di buona volontà lo capiscono e se non lo capiscono lo percepiscono e lo godono. Ne avvertono la gratuita e sincera accoglienza, la robusta e franca tenerezza, sono capaci di apprezzare ammonimenti e correzioni che possono essere amare, possono disturbare, ma per recuperarci, per rimetterci in giuoco, allorché sperimentiamo quanto queste siano salutari e quanto ci restituiscano alla verità di noi stessi e dunque ci aiutino a ricollocarci in un contesto, in una rete di relazioni che intrecciano, grazie alla sapiente mano del «santo tessitore», la vera fraternità.
Ma per far questo dobbiamo frequentare il Signore, la Sua parola, mangiare il Suo corpo, avere dunque esperienza di Lui. E così si «acquista una sensibilità sempre più delicata per ciò che gli piace o dispiace. Mentre prima si era a buon diritto contenti di noi stessi, ora sarà altrimenti. Si trova molto che è male e si cerca per quanto è possibile di cambiarlo. E altro si scoprirà di non bello e di non buono, ma che tuttavia è tanto difficile cambiare. Allora a poco a poco si diventa piccoli e umili, pazienti e indulgenti verso la pagliuzza nell’occhio altrui perché la trave nel proprio dà tanto da fare: e si impara infine a sopportare anche se stessi nell’inesorabile luce della presenza divina e ad affidarsi completamente alla divina misericordia, che può avere ragione di tutto ciò che si prende gioco della nostra forza» (E. STEIN, Il mistero del Natale, EDB 2017, pp. 46-47).
È questa la via sicura che ci permette di allargare l’orizzonte del nostro cuore fino «a farci sorprendere dalla vita che si presenta ogni giorno con le sue novità».
Carissimi fratelli e sorelle il Signore viene, andiamogli incontro. «Viene per introdurci in una dimensione più bella e più grande. La Madonna, Vergine dell’Avvento», ci ha detto papa Francesco, «ci aiuti a non considerarci proprietari della nostra vita, a non fare resistenza quando il Signore viene per cambiarla, ma ad essere pronti a lasciarci visitare da Lui, ospite atteso e gradito anche se sconvolge i nostri piani» (Angelus, 27.XI.2016).
Un fraterno augurio di un santo cammino di Avvento.
+ Carlo, vescovo
I DOMENICA D’AVVENTO
27 novembre 2022