Pubblichiamo nel testo che segue e in formato pdf l’omelia pronunciata dal nostro vescovo Carlo in occasione della solenne celebrazione per l’apertura dell’anno giubilare in diocesi, domenica 29 dicembre nella cattedrale di San Cerbone in Massa Marittima
Leggi qui in pdf: Apertura cattedrale 29.XII.2024 – GIUBILEO 2025
Carissimi fratelli e sorelle,
apriamo oggi nella nostra chiesa cattedrale il Giubileo, facendo seguito alle celebrazioni del giorno di santo Stefano nella concattedrale di Sant’Antimo in Piombino, e ieri l’altro nella concattedrale della Natività di Maria Santissima in Portoferraio accolti dal suono del corno (Jobel), come nell’antico dei giorni, che ci ha annunciato l’ anno di Grazia e di Misericordia; un annunzio che è una chiamata a varcare la porta, a entrare nella casa del Signore, per ritrovare pace, gioia e soprattutto pienezza di vita.
Chiediamo anche noi oggi al Signore questa grazia, di poter esclamare con tutto il nostro essere quanto abbiamo ora ascoltato dal salmo responsoriale: «Quanto sono amabili le tue dimore Signore dell’universo». È un’esclamazione piena di amorosa nostalgia, e un desiderare le dimore e gli atri, luoghi che sintetizzano l’edificio del tempio di Gerusalemme, e di questi luoghi si dice che sono amabili “jadid”. Termine, questo, usato solo per le cose animate e solo in questo caso è usato per definire un luogo, cioè il tempio, segno della presenza del Signore, “sacramento” di Lui.
È bello poter appellare “amabile” anche un altro tempio, la famiglia. Oggi, nella festa della Santa famiglia di Nazareth, siamo chiamati a ripensare a quest’ altro luogo santo, al tempio dell’amore e della vita: la famiglia! E anche in riferimento a quelle pietre e a quelle mura che ci hanno visto nascere, crescere, possiamo usare questo termine: “jadid”, “amabile”, che si usa solo per le cose animate, che crescono e si sviluppano.
Carissimi fratelli e sorelle, la nostra vita è segnata da percorsi e porte che ci introducono in nuovi percorsi e nuove mete, fino e verso quella porta che è compimento, realizzazione piena: le porte eterne. Ecco perché noi dobbiamo essere uomini e donne consapevoli di essere in cammino; non vive nel Signore se non l’uomo in cammino. L’uomo è alla ricerca dell’unità, dell’amore, della giustizia e della pace che segna il dimorare nel Signore e che Lui offre a ciascuno di noi. La nostra felicità dunque, è stare con Lui, lasciarci raggiungere da Lui, un incontro che si realizzerà solo al termine del nostro cammino, non al suo inizio. E perciò lo raggiunge solo l’uomo che si mette in cammino.
Carissimi fratelli e sorelle, la Santa famiglia di Nazareth ci dice di un pellegrinare di Maria e Giuseppe col Signore Gesù. Essi hanno vissuto in Lui, con Lui e per Lui (l’hanno accolto); la famiglia di Nazareth ci è di esempio. Hanno camminato; la loro vita è stata un continuo pellegrinaggio, un pellegrinare sui generis fatto di soste, di attese, di silenzio e perciò di ascolto.
In un mondo distratto, che non custodisce più il silenzio, ma è come sopraffatto dal frastuono, ascoltiamo le parole di San Paolo VI che proprio a Nazareth ebbe a dire che la Santa Famiglia «ci insegna il silenzio, atmosfera mirabile e indispensabile dello spirito. La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, la scuola del Vangelo». E poi lo stesso Pontefice manifestava un suo desiderio, che invecchiando diviene desiderio di tutti noi, quello «di ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi siamo se non di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo» (Discorso a Nazareth, 5.01.1964). Questa intelligenza che ci conduce al mistero della croce e della resurrezione del Signore; quella croce che è un albero che produce frutti abbondanti, ma che per noi è difficile capire e accettare. Ci è dato comunque di vivere questo mistero tremendo e magnifico ad un tempo.
Il nostro egoismo, la nostra pochezza, infatti, ci fanno desiderare in realtà qualcosa d’altro. Specialmente noi pastori, io per primo, abbiamo bisogno di essere rieducati alle cose buone, al gusto della verità e alla fatica della carità che è la fatica dell’amore che dona la vita e diviene gusto della vera vita. Abbiamo bisogno di essere disintossicati, liberati per divenire liberatori.
Come potremmo capire, se il Signore non ci soccorre con l’abbondante sua grazia, quanto scrive sant’Agostino: «È meglio stare anche solo come mendicante alla soglia della vita con Dio, e qualora si riuscisse a varcare la soglia, si devono conoscere le conseguenze che essa comporta: “Ho scelto di essere un rifiuto nella casa di Dio” (v. II LXX; Vulgata: Elegi abiectus esse). Parola buona, parola di cui rallegrarsi, parola da scegliere: Ho scelto di essere tenuto in nessun conto nella casa del Signore, piuttosto che soggiornare nelle tende dei peccatori. Egli preferisce essere collocato tra i rifiuti della casa delle signore… Non ambisce ad altro che a stare dentro la casa del Signore, in qualunque posto: purché non debba rimanere fuori della porta» (Esposizioni sui Salmi, 83(84), 15). Chiediamo al Signore, allora, che ci apra, ci spalanchi, ci faccia varcare la porta.
Veramente “quanto sono amabili le tue dimore, Signore dell’universo”, ma come avrebbe detto sant’Agostino, dobbiamo allenarci per accogliere Cristo. Dobbiamo recuperare forza ogni momento insieme a chi affronta con noi la lunga traversata. E anche quando ci imbatteremo in aridi deserti, che neppure le lacrime sembreranno poter irrigare, ci sia data di trovare sorgenti in luoghi inattesi, secondo la preghiera del grande poeta Johann Wolfgang von Goethe:
«Se c’è nel tuo desiderio, o Padre dell’amore, un tono/
che il tuo orecchio possa ascoltare/
allora ravviva il suo cuore/.
Rivela il suo sguardo oscurato/
le mille/
sorgenti che sgorgano vicino a Lui/
assetato, nel deserto».
A tutti il mio augurio di un anno giubilare traboccante della grazia di Dio, del suo perdono e della sua misericordia:
Creatore eterno delle tende del cielo
disponi, ti preghiamo, nel nostro cuore
le ascensioni
attraverso le quali possiamo giungere alle tue dimore
senza cadere nel peccato.
(Orazione salmica, Tradizione romana)
+ Carlo, vescovo