Il crocifisso al centro dell’altare

DA LA TRACCIA DI DOMENICA 08 OTTOBRE

Il 7 settembre, la parrocchia di san Giuseppe in Carpani (Portoferraio) ha inaugurato il nuovo posizionamento della croce sopra l’altare. Il parroco don Kevin ci racconta l’importanza e il significato

Sin da tempi remoti, la Chiesa ha stabilito segni che aiutassero i fedeli ad elevare l’anima a Dio. Il Concilio di Trento, riferendosi in particolare alla S. Messa, ha motivato questa consuetudine ricordando che «la natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti […] per rendere più evidente la maestà di un Sacrificio così grande e introdurre le menti dei fedeli, con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo Sacrificio».

Presso i cristiani si diffuse l’uso di indicare la direzione della preghiera con una croce sulla parete orientale nell’abside delle basiliche, ma anche nelle camere private, ad esempio, di monaci ed eremiti.

«Se ci si domanda verso dove guardassero il sacerdote ed i fedeli durante la preghiera, la risposta deve suonare: in alto, verso il catino absidale! La comunità orante durante la preghiera non guardava affatto davanti a sé all’altare o alla cattedra, bensì elevava in alto le mani e gli occhi. Così il catino absidale assurse all’elemento più importante della decorazione della chiesa, nel momento più intimo e santo dell’agire liturgico, la preghiera» (S. Heid, Rivista di Archeologia Cristiana). Quando dunque si trova rappresentato nell’abside Cristo tra gli apostoli e i martiri, non si tratta solo di una raffigurazione, bensì di una sua epifania dinanzi alla comunità orante. La comunità allora «elevava in alto le mani e gli occhi “al cielo”, guardava concretamente a Cristo nel mosaico absidale e parlava con lui, lo pregava. Evidentemente, Cristo così era direttamente presente nell’immagine. Giacché il catino absidale era il punto di convergenza dello sguardo orante, l’arte provvedeva a fornire quanto l’orante necessitava: il Cielo, dal quale il Figlio di Dio appariva alla comunità come da una tribuna».

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Dunque, «pregare e guardare per i cristiani antichi formano un tutt’uno. L’orante voleva non solo parlare, ma sperava anche di vedere. Se nell’abside si mostrava in modo meraviglioso una croce celeste o il Cristo nella sua gloria celeste, allora per ciò stesso l’orante che guardava verso l’alto poteva vedere esattamente questo: che il cielo si apriva per lui e Cristo gli si mostrava» .

La liturgia non viene veramente compresa, se la si immagina principalmente come un dialogo tra il sacerdote e l’assemblea.

Non possiamo qui entrare nei dettagli: ci limitiamo a dire che la celebrazione della S. Messa «verso il popolo» è un concetto entrato a far parte della vita cristiana solo dopo il Concilio Vaticano II. “sacerdote e popolo non rivolgono l’uno all’altro la loro preghiera, ma insieme la rivolgono all’unico Signore” (Teologia della Liturgia, Città del Vaticano 2010).

Nel 1964 l’Istruzione Inter Oecumenici, emanata dal consiglio incaricato di attuare la riforma liturgica voluta dal Concilio, al n. 91 prescrisse: «È bene che l’altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente girare intorno e celebrare verso il popolo». Da quel momento, la posizione del sacerdote «verso il popolo», è divenuta il modo più comune di celebrare Messa. Stando così le cose, Joseph Ratzinger (il futuro Papa Benedetto XVI) propose, di non perdere il significato antico di preghiera «orientata» e suggerì di ponere al centro dell’altare il segno di Cristo crocifisso (Joseph Ratzinger, Teologia della Liturgia). Sposando questa proposta, aggiunsi il suggerimento che “le dimensioni del segno devono essere tali da renderlo ben visibile, pena la sua scarsa efficacia” (M. Gagliardi, Introduzione al Mistero eucaristico, Roma 2007).

La visibilità della croce d’altare è presupposta anche dall’Ordinamento Generale del Messale Romano: «Vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, con l’immagine di Cristo crocifisso, ben visibile allo sguardo del popolo radunato».  Concludo citando di nuovo Ratzinger: «Nella preghiera non è necessario, anzi, non è neppure conveniente guardarsi a vicenda. La Croce sull’altare non è impedimento alla visuale, bensì comune punto di riferimento. È un’“iconostasi” che rimane aperta, che non impedisce il reciproco mettersi in comunione, ma ne fa da mediatrice e tuttavia significa per tutti quell’immagine che concentra ed unifica i nostri sguardi. Oserei addirittura proporre la tesi che la Croce sull’altare non è ostacolo, ma la condizione preliminare per la celebrazione verso il popolo. Con ciò diventerebbe anche nuovamente chiara la distinzione tra la liturgia della Parola e la preghiera eucaristica. Mentre nella prima si tratta di annuncio e quindi di un immediato rapporto reciproco, nella seconda si tratta di adorazione comunitaria in cui noi tutti continuiamo a stare sotto l’invito: Conversi ad Dominum – rivolgiamoci verso il Signore; convertiamoci al Signore!» (Joseph Ratzinger, Teologia della Liturgia).

Le indicazioni nell’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGRM) sulla figura di Cristo sulla croce sull’altare dicono anche che:

conviene che questa croce rimanga sopra o vicino all’altare anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, per ricordare alla mente dei fedeli la salvifica Passione del Signore”.

Prendendo spunto dal manuale di liturgia del liturgista mons. Peter Elliott, potremmo aggiungere che la croce deve essere collocata immediatamente dietro o appesa sopra l’altare. Deve apparire al popolo come visibilmente legata all’altare. Elliott commenta: “Il crocifisso liturgico non serve in primo luogo per la devozione privata del celebrante, ma è un segno in mezzo all’assemblea eucaristica, proclamando che la Messa è lo stesso Sacrificio come il Calvario”.

Quindi, il crocifisso dell’altare è in rapporto con l’altare, e non al sacerdote.

20 Ottobre 2023

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