Messaggio per la Quaresima

Carissimi,
il Santo Padre Francesco, nel suo messaggio in occasione della Quaresima di quest’anno, scrive: «Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19)».
 
Tante volte ho avuto modo di riflettere insieme a voi che quell’amore vizioso di se stessi, che ci vede indaffarati a cercare il nostro proprio utile, dimentichi degli altri, trova nell’autosufficienza, nell’isolamento, nel “disprezzo” e nel rifiuto dell’amore, del dono che scende dall’alto, dal Padre, e che ci è offerto in Cristo, una forma ancor più insidiosa, più subdola e più invincibile di egoismo. Non è la nostra incapacità di dare, ma quella di ricevere che confina l’uomo in una terra di solitudine, in una sorta di esilio che lo separa da Dio e dagli altri. È veramente la forma più terribile di egoismo, è in definitiva la scelta di Adamo, un ripiegarsi su stesso, l’essere sordo ad ogni richiamo, è un ritornare nel nulla dal quale un giorno il Signore l’aveva chiamato; «la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce» (Gaudium et spes., 36) .
 
L’ amore di Dio soccorre ogni uomo e lo chiama a uscire da ogni forma di schiavitù, prima di tutto dalla schiavitù del peccato. Accogliendo questo amore, questa presenza di Dio che salva potremo andare all’altro – perché Lui, il Signore è con noi – senza timore e nella più generosa fraternità.
 
La libertà, portata da Cristo nello Spirito Santo, infatti, ci ha restituito la capacità, di cui il peccato ci aveva privato, di amare Dio al di sopra di tutto e di rimanere in comunione con Lui. Cosicché noi siamo liberati dall’amore disordinato di noi stessi, che è la fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti di dominio tra gli uomini.
 
Il comandamento nuovo: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34-35), trova nella croce l’icona più eloquente.
 
«Nella croce di Cristo», ebbe a dire il Papa durante la via Crucis a Copacabana, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù nel 2013, «c’è la certezza dell’amore incrollabile di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla. (…) Nella croce di Cristo c’è la sofferenza, il peccato dell’uomo, anche il nostro, e Lui accoglie tutto con le braccia aperte». E continuava: «Ma la Croce di Cristo invita anche a lasciarci contagiare da questo amore, ci insegna allora a guardare sempre l’altro con misericordia e amore, soprattutto chi soffre, chi ha bisogno di aiuto, chi aspetta una parola, un gesto, la Croce ci invita ad uscire da noi stessi per andare loro incontro e tendere loro la mano».
 
San Giovanni afferma che colui che, disponendo delle ricchezze di questo mondo, chiude il suo cuore al fratello che è in necessità, non può avere dimorante in sé l’amore di Dio. L’amore del fratello è la pietra di paragone dell’amore di Dio: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 20). San Paolo sottolinea con vigore il legame che esiste tra la partecipazione al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo e la condivisione con il fratello, che si trova nel bisogno (Cfr. 1 Cor 11, 17-34; Rm 15, 26).
 
Proprio nell’Eucaristia «il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. […] Nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. D’altra parte […] il “comandamento” dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere “comandato” perché prima è donato» (Cfr. Deus caritas est, n. 18).
 
Centro del cristianesimo, infatti, non è la croce ma Cristo crocifisso e glorioso.
 
Mi piace ricordare quanto scrive Charles Peguy ne Il Mistero della Carità di Giovanna d’Arco: «Non ci sono, non ci possono essere che due specie, due tipi di sofferenza: la sofferenza che non è perduta e la sofferenza che è perduta. Noi apparteniamo alla sofferenza che non è perduta, insieme con Gesù Cristo; la nostra sofferenza è della stessa specie, e della stessa razza della sofferenza di Gesù Cristo; la nostra sofferenza non è mai perduta, purché lo vogliamo».
 
Papa Francesco scrive: «La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. E noi dobbiamo lasciarci servire da Cristo se vogliamo soccorrere gli uni gli altri e servire i fratelli più deboli». Del resto la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi ci dice, con il gesto e con le parole pronunciate da Gesù, continua il Papa, «che questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo».
 
Approfittiamo di questo tempo santo di Quaresima. Ricostruiamo nella carità quello che abbiamo demolito con il nostro egoismo. Quanto è necessario cercarsi, ritrovarsi e incontrarsi. Dio viene a cercare ciò che era perduto, lasciamoci trovare. Non è mai troppo tardi per incominciare a servire e perciò a vivere la carità vera. Stiamo asfissiando nelle nostre solitudini, nelle nostre autosufficienze e nell’illusione di sistemazioni e collocamenti sicuri da ogni minaccia ed intemperie. Eppure è scritto: «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla (…) ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei buontemponi» (Amos 6,1-4.6-7).
 
Quanto siamo miseri. Ma anche in questa situazione ci è dato di sperare la pietà compassionevole e la misericordia che mai si arrende di Colui che ha dato la vita per noi.
 
Scrive San Leone Magno: «Carissimi, (…) quanti desiderano di arrivare alla Pasqua del Signore con la santità dell’anima e del corpo si sforzino al massimo di acquistare quella virtù nella quale sono incluse tutte le altre in sommo grado, (…) facciamolo con i sacrifici della misericordia. Ciò che la bontà divina ha elargito a noi, diamolo anche noi a coloro che ci hanno offeso. (…) Il nutrimento di chi ha bisogno sia sostenuto dai nostri digiuni. Al Signore, infatti, nessun’altra devozione dei fedeli piace più di quella rivolta ai suoi poveri, e dove trova una misericordia premurosa là riconosce il segno della sua bontà. Non si abbia timore, in queste donazioni, di diminuire i propri beni, perché la benevolenza stessa è già un gran bene, né può mancare lo spazio alla generosità, dove Cristo sfama ed è sfamato. In tutte queste opere interviene quella mano, che spezzando il pane lo fa crescere e distribuendolo agli altri lo moltiplica» (Disc. 10 sulla Quaresima).
 
A tutti il mio saluto di ogni bene e pace in questo cammino di Quaresima, verso la Pasqua del Signore.
 
+ Carlo, vescovo
 
 
18 febbraio 2015
Mercoledì delle ceneri
 
Nella foto: Crocifisso ligneo attribuito a Michelangelo
 
 

10 Febbraio 2015

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