Tempo di Avvento

Il messaggio del nostro vescovo Carlo

Al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana 
egli portò a compimento la promessa antica, 
e ci aprì la via dell’eterna salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria, 
e ci chiamerà a possedere il regno promesso 
che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.

 

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Carissimi, Cristo «viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo,
perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno» (Prefazio dell’Avvento I/a). 

Ecco un invito ad andare, un invito a prepararci per un incontro, un andare perché Dio viene, un uscire per incontrarlo, questo è l’Avvento che i cristiani vivono, un Avvento desiderato e atteso. 

Nella nostra vita, ci sono gli avventi non attesi o addirittura temuti. Direi che oggi viviamo un tempo dentro al quale sembra che l’uomo non attenda nessuno, se non se stesso, ciò che lui può dare e portare a se stesso. Ogni altra attesa o non è, o è un ingombrante ostacolo, e perciò quasi temuta.

L’unica attesa è l’autorealizzazione, un ripiegarsi, un sabotare sempre più le relazioni vere, quelle desiderate, pensate, sofferte e godute, mentre si intrecciano artificiose relazioni, nate morte, che riempiono senza sostenere: casa fondata sulla sabbia. Un incontrarsi con se stessi così da decidere il luogo, il modo e il risultato da dare ad intendere.

Eppure sappiamo che ogni vera relazione vive sempre un’attesa autentica, e l’attesa degli incontri coinvolge, ci mette in gioco, fa gustose le nostre giornate perché è prima di tutto un aspettare qualcuno.

Troppo spesso noi non aspettiamo nessuno, ma piuttosto ci sentiamo aspettati e attesi. Il nostro tempo risuona continuamente di termini come autoreferenzialità, una sorta di protagonismo esasperato che pregiudica ogni relazione duratura e feconda, mentre realizza situazioni di competitività, di sopraffazione, di plagio e abuso dell’altro. 

Credo che il tempo di Avvento, che ci prepara al ricordo dell’incontro con il Signore Gesù nella sua venuta nella storia e ci rafforza nella speranza del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi, e che ogni anno la madre Chiesa propone ai suoi figli, è prima di tutto un ritrovare la verità e il senso della nostra quotidianità come cristiani. Un incontro con la sua Parola in un serio esame di coscienza, per recuperare la verità di noi stessi e del nostro essere al mondo, della nostra situazione per non essere degli spostati, fuori posto, ma collocarci là dove è bene per noi e perciò è bene per gli altri che ci collochiamo. 

 

Decentrarsi per rimettere al centro della nostra vita Colui che rimane per noi il Salvatore del mondo, e che ci chiama a collaborare con Lui in questa opera, ci rende più uomini e amici dell’uomo.

 

Ci ha detto papa Francesco: «Quando l’uomo rinnega la propria vocazione di collaboratore dell’opera di Dio e presume di mettersi al suo posto, perde la dignità di figlio e si trasforma in nemico dei suoi fratelli» (Discorso al Congresso Internazionale, “Educare Alla Democrazia In Un Mondo Frammentato”, 18.III.2022).

Carissimi fratelli e sorelle, per fare questo dobbiamo lasciarci illuminare, istruire e vivificare dalla Parola di Dio.  Dobbiamo corroborare e lasciarci trasformare dal Dio fatto uomo in Gesù, nato a Betlemme da Maria, crocifisso e risorto, presente in mezzo a noi, che si offre come nostro cibo. 

Ciò che sta accadendo nel mondo in maniera sempre più drammatica, accadimenti che, ahimè, si ripropongono continuamente nello scorrere dei secoli, ci dicono di un uomo che attende solo se stesso, che è divenuto lui stesso metro e misura di ogni relazione e perciò di ogni attesa. Non sono forse le guerre i risultati dell’uomo che attende da se stesso una pienezza, una piena realizzazione, una sazietà? Le divisioni a tutti i livelli, sia familiare che sociale e tra le nazioni, non sono il fallimento e il sintomo di false relazioni o meglio di relazioni fondate su terreni infidi quali sono il disprezzo della verità, seppur faticosa, l’egoismo, la gelosia ed ogni perversione?

Che fare? Certamente non può l’uomo dare una risposta, una sorta di regola, di vademecum. Dobbiamo piuttosto domandarci da chi andare, perché ci dica il da farsi, come muoversi, come riordinare mente e cuore per restaurare e rinnovare i nostri giorni, il nostro vivere la vita.

 

Qualsiasi regola che si rispetti, ogni proposta per un cammino di autenticità e di perfezione per chi cerca un senso alla vita è un porsi in ascolto non di se stesso, ma di tutto un mondo che sperimentiamo, soffriamo e godiamo, senza fuggire la verità. È avvertire che l’avventura dell’uomo, la storia del mondo è sempre un’attesa, un avvento che ci invita a farci umili ed attenti ad ascoltare ciò che succede, direi ascoltare con tutto il nostro essere la vita che pulsa intorno a noi. Si pensi alla regola di San Benedetto, la primissima parola è: «ascolta, figlio, il precetto del maestro e inchina gli orecchi del tuo cuore agli ammonimenti del Padre amoroso». È un porci in ascolto di Lui ed è un ritornare a Lui, come continua la medesima regola: «Perché tu possa ritornare per via di ascolto di “obbedienza” a Colui dal quale ti eri allontanato» (Prologo). 

Carissimi fratelli e sorelle, dobbiamo andare a Lui in questo Avvento se vogliamo veramente celebrare il Natale del Signore e non qualcosa d’altro. Allora sarà una festa tutta di famiglia; ci ritroveremo tutti insieme e soprattutto ci accoglieremo. Allora l’Avvento del Signore che ogni anno ricordiamo e celebriamo nel respiro della liturgia di questi giorni, sarà anche l’avvento dell’uomo, dell’altro nella nostra vita, non come estraneo o addirittura come comparsa di una commedia di cui pretendiamo di essere gli unici protagonisti, ma come condizione dell’accoglienza del Signore. 

Senza accogliere Lui, la sua Parola e senza mangiare il suo Corpo, non potremo incontrare e accogliere l’altro in una relazione armoniosa, generosa e soprattutto fraterna, con tutto ciò che comporta e significa questo termine. La verità di un incontro con un fratello è gioia, ma anche sofferenza, perché esige l’accoglienza dei suoi limiti, delle sue fragilità. Una fraternità segnata da una gioia tribolata, una gioia che costa veramente sudore se non addirittura sangue, una fraternità però bella, che vede l’uomo crescere nell’esperienza del mistero della croce ma anche della luce che si riverbera su quel bambino che noi aspettiamo, una luce bellissima tutta Pasquale. Sappiamo bene come l’iconografia natalizia spesso ha posto quel bambino in una mangiatoia fatta a croce o addirittura in un sarcofago. Sappiamo bene che tra i doni dei saggi di oriente, che annunziavano e profetizzavano di quel Bambino, c’era anche la mirra a raccontare l’amarezza della morte, ma annientata e vinta dal Re e Dio immortale significati dall’oro e dall’ incenso come canta il bellissimo inno del tempo dell’Epifania: 

 

Oro e incenso proclamano
il Re e Dio immortale;
la mirra annunzia l’Uomo
deposto dalla croce.

 

Carissimi fratelli e sorelle, intorno a noi grande c’è frastuono per una festa che chiamano Natale, ma è l’ennesima occasione o tentativo di far fuori Dio senza che qualcuno se ne accorga. Eppure, sappiamo bene, che «la disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell’ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento» (Caritas in veritate, n. 78).

Carissimi, sia questo cammino d’Avvento occasione per riscoprire la radice divina dell’avventura umana della vita. Prendiamo sempre più coscienza del nostro essere fratelli e sorelle non per nostra scelta ma perché figli di un Dio che è padre di tutti. Questa paternità, fonte e origine dell’umana fraternità ci chiama a rispettare e amare la vita nostra e a rinascere ogni giorno prendendoci cura degli altri. In primo luogo di chi vive attorno a noi. A Tutti auguro un buon cammino.

+ Carlo, vescovo

1° dicembre 2024

Prima domenica d’Avvento

1 Dicembre 2024

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